Di tanto in tanto si rilancia l’idea di privatizzare la Rai, ovvero venderla, per ricavarne denaro. Dopo di che si farà una bella asta e vinca il miglior offerente. Un’idea liberale che potrebbe davvero rappresentare un punto di svolta nell’annosa discussione sul pluralismo televisivo.
Ma siamo sicuri che sia una buona idea?
La de-statalizzazione della RAI risponderebbe alle tante ragioni economiche e politiche per le quali apparirebbe ogni giorno più utile e più necessaria perché consentirebbe “di creare una reale concorrenza ed un maggior pluralismo nel mercato dei media italiano”, permetterebbe l’eliminazione del canone e quindi una diminuzione del carico fiscale sui contribuenti.
Il timore però che la privatizzazione si traduca in un indebolimento del
patrimonio culturale dell’azienda a vantaggio del mero interesse economico esiste e spaventa un po’ inoltre, confesso di far parte di una vecchia mentalità forse superata dai tempi ma, a me sta caro il modello di salvaguardia del concetto di “servizio pubblico”, nel rispetto degli scopi istituzionali, culturali, educativi e sociali che fino ad oggi gli sono stati assegnati.Il pericolo che i rapporti tra potere e tv venga totalmente affidato al mercato obbliga alla riflessione anche perché, quando i miliardari puntano a qualcosa non lo fanno solo per l’ideologia o per un attacco di improvvisa generosità ma, perché è un affare che conviene.
Altrettanto vero è che il sistema dell’emittenza appare da tempo paralizzato e la privatizzazione consentirebbe l’aprirsi di quelle effettive condizioni di pluralismo televisivo che un po’ tutti auspichiamo .
Comunque personalmente ci penserei bene a gettare alle ortiche la Rai, vendendola a privati o quanto meno vorrei che prima mi si garantisse un reale controllo sulle regole televisive che valorizzerebbero il suo effettivo rilancio garantendone l’uso al servizio del pubblico e non al servizio di partiti o di interessi economici.