Licia Satirico per il Simplicissimus
Due notizie quasi furtive sulla giustizia, tra realtà e gossip, scuotono il torpore domenicale. La prima, anticipata da Italia Oggi, è un bavaglio ai processi: sarebbe imminente il varo per decreto del “processo breve” nella stessa formulazione decisa dal precedente esecutivo (processi chiusi entro sei anni per tutti i gradi di giudizio). La normativa, per il momento, dovrebbe applicarsi solo al processo civile e non comportare la sanzione della chiusura del procedimento. Scatterebbe subito, tuttavia, il calcolo dell’indennizzo previsto dalla legge Pinto per la durata irragionevole del processo: da 500 a 1500 euro per ogni anno o frazione di anno superiore ai sei mesi. Si parla anche – cosa assai più grave – di un possibile filtro ai mezzi d’impugnazione per limitare gli appelli e i ricorsi per cassazione: un modo per recitare il de profundis processuale ben prima del termine massimo dei sei anni.
La seconda si sarebbe tradotta, se confermata, in un bavaglio ai giudici: stamattina Repubblica annunciava che Palazzo Chigi starebbe lavorando sulla giustizia disciplinare dei magistrati, affidandola in prevalenza a membri laici designati dal parlamento. L’infelice espressione “membro laico” si presta subito ai peggiori sospetti. In verità il progetto, non ancora approvato in Consiglio dei Ministri, sarebbe trapelato all’esterno perché inviato, per una prima verifica, al Csm e a esponenti della magistratura.
Anche in questo caso nulla di nuovo sotto il sole, almeno in apparenza: già la riforma costituzionale della giustizia firmata da Angelino Alfano aveva tentato, senza riuscirci, di modificare il rapporto numerico tra togati e laici nei procedimenti disciplinari a carico dei magistrati. L’obiettivo è quello di affidare a “terzi” il potere di mettere sotto processo, condannare o assolvere i giudici che tengono un comportamento, per dir così, non irreprensibile. Nel frattempo il disegno di legge sulla responsabilità civile dei giudici sta per essere ridiscusso al Senato con importanti emendamenti: tanto basta per acuire la tensione tra magistratura, parlamento ed esecutivo come ai vecchi tempi.
I motivi di tensione sono corposi: non è ben chiaro come, in tempi di spending review, il “processo breve” sia conciliabile con le endemiche carenze di organico della magistratura e con gli annunciati accorpamenti tra sedi giudiziarie. Nulla esclude che breve diventi al più presto anche il processo penale, in sintonia con la prescrizione smart dei reati varata dalla legge ex Cirielli. Anche la concussione, del resto, potrebbe diventare un reato schnell come il falso in bilancio, ma questa è un’altra storia (che pure ci riguarda da vicino).
La riforma dei processi disciplinari sarebbe invece un tentativo palese di sottoporre la magistratura a un controllo esterno, che non potrà mai – stante l’attuale sistema elettorale – essere “terzo” e men che mai estraneo: un’interferenza dei partiti nell’amministrazione della giustizia. Gianluigi Pellegrino scrive oggi su Repubblica: «il progetto è talmente abnorme che c’è da chiedersi se Monti e Severino ne siano a conoscenza. Comunque si affrettino, i professori, a cestinare questo scempio e a spedire dietro la lavagna chi lo ha concepito. Per il futuro si guardino bene da certi tecnici, che a volte sono ventriloqui della peggiore politica».
Non sarei così cauta e benevola: i ventriloqui della peggiore politica sono stati finora proprio i professori, tranne che non si voglia riciclare ancora una volta la balla delle menti oscure che agiscono a loro insaputa. Il governo che è lì per salvarci ci affonda in modo definitivo. Oltre a tracciare, come oggi ha scritto il Simplicissimus, la brutta copia scomposta del tema dell’iniquità, l’esecutivo bocconiano pianta il suo vessillo nero su riforme costituzionali e giustizia: temi “cruciali” a detta di Monti, crucialmente affrontati con impudente disinvoltura.
Una nota pomeridiana di Palazzo Chigi confermerebbe però che Monti e Severino non erano a conoscenza del progetto di riforma dell’organismo disciplinare della magistratura ordinaria, dal quale prendono nettamente le distanze definendolo “inopportuno” e “non percorribile”. La lavagna della contrizione si affolla, mentre il processo breve avanza in silenzio e senza smentite.