Risolvere il problema della giustizia in Italia con il processo breve (anzi, sarebbe meglio dire brevissimo visto che la prescrizione breve l'abbiamo già introdotta con la cosidetta legge ex Cirielli, norma sconfessata dallo stesso promotore) è come risolvere il problema delle strade ridotte ad un gruviera imponendo il limite di velocità dei 30 orari. In entrambi i casi è una soluzione che non risolve il problema: non velocizzerà la giustizia, non garantirà strade più sicure.
Del resto basta vedere cosa dice il disegno di legge per capire come la giustizia, a corto di risorse e senza uno snellimento delle procedure e una organica armonizzazione delle norme sedimentate negli anni, difficilmente reggerà degnamente l'impatto di questa ulteriore granellino di sabbia in un ingranaggio già provato. Quello che si sta registrando in questi giorni nei palazzi della politica non è tanto l'ennesimo tentativo di introdurre una legge ad personam, ma è la totale mancanza di un progetto in un settore importante come quello della giustizia. Sentire il ministro Angelino Alfano spiegare che «l'impatto di questa norma è legato a due circostanze: riguarderebbe solo i processi in primo grado che sono stati 125mila nel 2009 e solo gli incensurati che sono il 55% sul totale dei condannati. Quindi i processi penali a rischio diventano circa lo 0,2% mentre ogni anno si prescrivono in media il 5% dei procedimenti penali aperti» mi indigna. Non tanto perchè l'ulteriore 0,2% dei processi che resterà impunito, ma perchè un ministro della Giustizia non spende una parola per impedire che il 5% dei processi italiani anche senza prescrizione breve finisca al macero.
Il compito di un politico è dare efficienza e funzionalità al sistema con grandi riforme "epocali", queste sì, che diano credibilità al comparto con pene certe e processi spediti. Invece assistiamo ad una battaglia parlamentare, ad uno zelo senza precedenti, a spettacoli turpi da decadenza dell'Impero romano per una norma che rischia di cancellare 60 mila processi compresi quelli, ma a questo punto è un dettaglio, del presidente del Consiglio. Di un'Italia politica così, senza prospettive, senza uno sguardo verso il futuro, ne faremmo volentieri a meno.
Ieri a Ballarò (che ha proposto servizi interessanti su come i tg stranieri di mezza Europa parlano di noi e dei nostri leader) Alessandro Sallusti, il direttore del Giornale, ha spiegato che nel '92 quando c'era tangentopoli (e il quotidiano, allora diretto da Feltri, sparava cannonate su tutto e tutti senza troppi garantismi) si perseguivano i politici-ladri che rubavano al Paese, ora si va contro un uomo solo ed è persecuzione politica. I magistrati, però, erano praticamente gli stessi: un tempo paladini della giustizia, oggi accecati dall'odio berlusconiano? Sarà, certo è che Pierferdinando Casini ha ribattuto a questa tesi con prontezza: "Se mi si dice se politicamente preferisco Fanfani alla Brambilla non ho dubbi. Mi tengo Fanfani". Non ho particolari simpatie per l'ex leader Dc, ma come dargli torto?
CROZZA IERI A BALLARO'
Magazine Cultura
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