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Catania, 14 ottobre 2011 – Se a Palermo si muovono gli equilibri politici, a Catania in questi giorni – ed almeno fino alla prossima settimana – la partita ancora tutta da giocare ruota intorno alla poltrona di procuratore. La commissione incarichi direttivi del Consiglio superiore della magistratura (Csm), non è infatti riuscita a trovare un nome che mettesse tutti d'accordo tra quelli di Giuseppe Gennaro, Gianni Tinebra e Giovanni Salvi, che per il semplice fatto di essere esterno alla Procura è considerato il più vicino alla nomina. Ma quella, comunque, è una poltrona che scotta.
Per adesso i voti dovrebbero essere così redistribuiti, in attesa della convocazione del plenum del Csm: lo “straniero” Giovanni Salvi – sostenuto da Magistratura Democratica – a quota dieci voti, otto per Giuseppe Gennaro e sette per Gianni Tinebra, rispettivamente di Unità per la Costituzione e Magistratura Indipendente.
Dallo scorso febbraio, a reggere il tutto, è arrivato il procuratore facente funzioni Michelangelo Patanè, fortemente criticato proprio dal Csm per l'operato nell'ambito del processo “Iblis”[1], reo di aver avocato l'inchiesta sul concorso esterno in associazione mafiosa di Raffaele Lombardo e del fratello Angelo ai quattro procuratori – Iole Boscarino, Antonino Fanara, Giuseppe Gennaro e Agata Santonocito - che se ne stavano occupando derubricando poi l'accusa da “concorso esterno in associazione mafiosa” ad un più lieve “voto di scambio semplice”. Il primo compito del nuovo procuratore – chiunque uscirà vincente dalla competizione – sarà appunto quello di riprendere in mano questa inchiesta.
Gli impresentabili. Quella che può sembrare una questione tutta interna alla Procura è in realtà uno scontro cittadino, tanto che nei mesi scorsi si è assistito anche a volantinaggi, appelli sit-in ed interrogazioni parlamentari. «Giuseppe Gennaro e Giovanni Tinebra sono due magistrati impresentabili e palesemente inadatti» sostiene Sonia Alfano, europarlamentare e responsabile nazionale del Dipartimento antimafia dell'Italia dei Valori.
Ma perché sia Gennaro che Tinebra sono “impresentabili e palesemente inadatti”?
Giuseppe Gennaro, due volte presidente dell'Associazione nazionale magistrati (Anm) ed ex componente proprio del Csm sarebbe al centro del cosiddetto “caso Catania”[2] - intrecci tra criminalità e magistratura, per farla breve – e, come testimonia la fotografia pubblicata da “Il Fatto Quotidiano” sarebbe in rapporti con Carmelo Rizzo, imprenditore di San Giovanni La Punta (comune sciolto due volte per mafia e regno dell'abusivismo edilizio) organico al clan catanese dei Laudani, ucciso in un agguato nel 1997.
La prova del rapporto tra i due sarebbe l'acquisto di una villa dalla società edile – la “Di Stefano Costruzioni” - in cui Rizzo è entrato attraverso la moglie e passando per l'intercessione di un certo signor Arcidiacono, il quale dichiarerà davanti agli investigatori di aver svolto la funzione di prestanome.
L'altro dei cosiddetti “impresentabili” per la nomina è Giovanni Tinebra, che negli anni delle bombe di Cosa Nostra era procuratore capo a Caltanissetta. A livello nazionale sarà probabilmente ricordato come colui che avvertì Silvio Berlusconi delle indagini a suo carico proprio in merito alle stragi, ma questa non è che la punta dell'iceberg.
Innanzitutto c'è la storia del certificato medico inviato lo scorso anno alla Procura di Palermo per evitare la testimonianza nel processo all'ex generale dei carabinieri Mario Mori, nel quale il procuratore lamentava una malattia talmente grave da pregiudicarne le capacità di memoria e di autocontrollo.
Su Tinebra, poi, pende anche una questione decisamente interessante. Perché il passaggio dalla poltrona di procuratore generale – cioè capo della magistratura requirente dell'intero distretto - a quella di procuratore capo è una retrocessione. Retrocessione che, però, comporterebbe carichi di lavoro decisamente maggiori. E per un uomo di 70 anni colpito da una malattia così grave deve essere sicuramente più faticoso. Anche Tinebra ha, peraltro, i suoi “nomi pesanti” da poter spendere, il più importante dei quali è quello dell'editore (“La Sicilia”, “Telecolor” e, da giornalista, membro del comitato esecutivo dell'agenzia Ansa) Mario Ciancio Sanfilippo, il “signore di Catania” da più parti definito come l'erede di quei “quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa”[3] di cui scriveva Giuseppe Fava su “I Siciliani” nel 1983 e che ha buoni rapporti anche con le due grandi “casate” imprenditoriali moderne, i Berlusconi – ai quali nel 2003 cedette 23 impianti televisivi necessari per la creazione della rete del digitale terrestre (valore 2 milioni di euro) – e i De Benedetti, con i quali Ciancio si è schierato nell'ambito dell'”affaire Mondadori” (per un breve quanto esauriente approfondimento su Ciancio:http://www.peacelink.it/casablanca/a/24173.html).
È alla luce di due curriculum di questo tipo che a Catania la gente comune, quella che viene spesso chiamata “opinione pubblica” senza che poi si capisca bene cosa significa, chiede – o sarebbe meglio usare il verbo invoca – l'arrivo di un elemento esterno ai potentati che muovono i fili nel catanese.
E quel “papa straniero” sembra essere stato identificato proprio in Giovanni Salvi, pugliese ma romano d'adozione, fratello dell'ex parlamentare Cesare e dal 1984 procuratore aggiunto a Roma con un passato speso nella lotta al terrorismo e nella Direzione distrettuale antimafia.
Per capire come andrà a finire, quindi, non resta che aspettare il 19 ottobre prossimo, data in cui il Csm ha convocato il prossimo plenum. Solo in quella data, dunque, sapremo se a Catania i “poteri” continuano a dettare Legge.
Note
[1]http://www.livesicilia.it/2011/09/22/sul-concorso-esterno-la-parola-a-un-giudice/[2]http://www.ucuntu.org/Per-capire-il-caso-Catania.html
[3]http://www.girodivite.it/I-quattro-cavalieri-dell.html