Una ridda di ipotesi di complotto e dietrologie politiche per almeno una dozzina di articolesse anche di ottima firma (Giavazzi sul Corriere, Massimo Giannini su Repubblica, Orazio Carabini sul Sole 24 Ore, Dario Di Vico di nuovo sul Corriere, eccetera) a cui oggi si aggiungono anche le analisi dei settimanali…
Ma nella selva delle ipotesi mi pare che siano sfuggiti alcuni elementi essenziali che secondo me delineano uno scenario per niente confortante ma abbastanza chiaro:
1) Il progetto Unicredit è fallito. La creazione del primo gruppo bancario italiano di livello mondiale ha portato a una banca molto grossa e molto internazionalizzata ma non molto importante sui mercati finanziari globali. Nelle varie classifiche mondiali sull’attivo totale – quello che per le banche equivale al fatturato – nel 2009 Unicredit risulta essere fra il 14° e il 19° posto al mondo con circa 1.400 miliardi di dollari. Per consistenza del capitale è considerata la banca 7° al mondo. Ma NON figura nelle prime 50 per redditività. Sul perché ci si potrebbe dilungare: certamente ha avuto sfortuna nel timing, perché il processo di aggregazione che ha portato alla sua nascita è comincato almeno 10 anni dopo la rincorsa che ha portato alla nascita dei giganti del credito francesi, inglesi, tedeschi, spagnoli e olandesi, troppo a ridosso della grande crisi, senza darle il tempo di consolidarsi e integrarsi come hanno fatto le altre. Secondo elemento, è una banca italiana. Cioè di un paese che in campo finanziario continua a ignorare il gioco di squadra e che da almeno 30 anni (a mia memoria, ma probabilmente sono almeno 60) parla di rilanciare i mercati finanziari, ma continua ad avere una Borsa che in termini di capitalizzazione vale una frazione del PIL quando la maggior parte degli ltri paesi sviluppati ha una capitalizzazione di Borsa che vale più o meno come il PIL, fatta eccezione per l’Inghilterra dove la capitalizzazione di Borsa è da sempre molto più elevata del Pil… Insomma, un gigante fragile. Certamente non supportato da un governo forte e da una politica propositiva in campo industriale e finanziario.
2) Unicredit ha molte anime, nessuna prevalente. La bagarre di questi giorni ha dimostrato che all’interno dell’azionariato della banca ci sono almeno tre gruppi di potere con interessi contrapposti o quantomeno molto difficili da far coincidere. I tedeschi capitanati da Allianz e dal Presidente Dieter Rampl, che ha provvisoriamnete in mano le deleghe lasciate da Profumo, che certo non si batteranno per l’italianità dell’istituto. La Lega Nord attraverso le Fondazioni di Cariverona e Caritorino che puntano a spadroneggiare sulla banca che secondo loro dovrebbe essere legata al territorio: le dichiarazioni demenziali del sindaco leghista di Verona Tosi non lasciano molti dubbi in merito. Cesare Geronzi con la Fondazione Capitalia e Mediobanca probabilmente portatore di un progetto di aggregazione molto italocentrico a supporto dell’integrazione con le Generali , certamente non molto ben visto da Allianz e dai tedeschi…
3) La crisi che ha portato all’uscita di Profumo è stata una crisi al buio. Il nome del successore non era sul tavolo, probabilmente non c’è ancora a tre/quattro giorni di distanza dallo showdown, sembra difficile che i soci trovino un accordo.
Conclusione: quando un grande conglomerato soffre e i suoi azionisti non vanno d’accordo, la logica (posto che possa essere il vero motore di quanto accade nel mondo finanziario italiano) vuole che si vada a una spartizione delle spoglie, e ognuno per la sua strada. La via di Unicredit, insomma, sembra molto quella di trsformarsi in Multicredit…