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Prometheus (di Ridley Scott, 2012)

Creato il 29 settembre 2012 da Iltondi @iltondi

Scozia, 2089: i due scienziati Elizabeth Shaw (Noomi Rapace) e Charlie Holloway (Logan Marshall-Green) scoprono in una grotta la raffigurazione di una civiltà sconosciuta, che sembra far riferimento a un pianeta ancora inesplorato. Alcuni anni più tardi, finanziati dal ricco magnate Peter Weyland (Guy Pearce), viaggiano ibernati sulla nave spaziale Prometheus, guidati dall’androide David (Michael Fassbender). Avranno il compito di rintracciare i resti della popolazione aliena. Prometheus (di Ridley Scott, 2012)

Di fronte ai mostri sacri del cinema, di solito si ha una sorta di rispetto incondizionato, gli si perdona tutto, in un atto di riverenza che travalica la realtà dei fatti. Stavolta è difficile, molto difficile. Prendete Alien, stesso schema, e toglietegli la sua aura magica, la sua atmosfera horror debordante di suspense e il gusto indiscutibile della novità. Insomma, svuotatelo della sua anima. Ora mettete al suo posto un film che mescola (male) una storia trainata (verso il basso) da una sceneggiatura approssimativa, raffazzonata, a un cast buono ma non sfruttato al massimo delle possibilità. Eccelle solo Fassbender (ormai una sicurezza), splendido cyborg dallo sguardo di ghiaccio, che però adora Lawrence d’Arabia, mentre è discutibile la scelta di Guy Pearce per intepretare il decrepito centenario Weyland; non sfigurano, ma neanche entusiasmano, le due presenze femminili Charlize Theron e Noomi Rapace. Nell’evolversi della trama non mancano le incongruenze, e si finisce per inseguire spiegazioni che si possono solo immaginare. Soltanto una scena veramente impressionante (quella del parto/aborto della creatura) e qualche raro momento di alta tensione non risollevano le sorti di questo film, di cui almeno si può salvare la potenza visiva, quella sì. Ma si deve anche (e purtroppo) ammetterne la lentezza di certi passaggi, specialmente nella prima parte, dove le teorie sull’origine dell’uomo sono contese tra il darwinismo e l’intervento alieno. La musica onnipresente, a commentare ogni (e dico ogni) scena, rappresenta ancora una scelta sbagliata, persino fastidiosa. Il vero finale, che giustifica la definizione di prequel e invita al seguito (speriamo di no…), è preceduto da una scena epica, di “armageddoniana” memoria, ed è un cliché che poteva essere risparmiato. Viene da porgersi una domanda: perché riciclare se stessi, a costo di rovinare anni di onorata carriera? E pensare che Scott sta lavorando sul prequel di un altro suo capolavoro, Blade Runner: dobbiamo seriamente cominciare a preoccuparci…



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