Era arrivato per ultimo in quell’ambiente di lavoro. C’erano colleghi che erano anni che lavoravano sodo in quella struttura. Molti di loro erano laureati, avevano fatto master prestigiosi, avevano seguito corsi e stage all’estero, sapevano le lingue straniere, conoscevano il diritto e l’economia. Lui era un semplice ragioniere che prima di entrare aveva lavorato come commesso in un negozio di periferia . Conosceva a malapena un po’ di francese, non era esperto di borsa e di derivati. Era entrato in punta di piedi quasi per paura di disturbare. I colleghi l’avevano visto aggirarsi furtivo, mal vestito, per i corridoi, abbozzare un sorriso forzato di circostanza. Era schivo, remissivo con i superiori, silenzioso, apatico. Si limitava a fare il suo dovere senza strafare. Non parlava mai di sé, del suo privato. La sua presenza era un enigma, non si capiva nulla. Come era entrato, cosa faceva di preciso. ? I colleghi notavano, con il passar dei mesi, però la sua padronanza, la sua spavalda sicurezza, la sua superbia. Si rendevano conto che aveva le chiavi di accesso di molte sedi secondarie, di molti armadi che custodivano documenti, che era ammesso alla mensa dei superiori. Era stato visto a pranzo in alcuni locali con dei dirigenti. Sapeva il futuro dell’azienda, conosceva i meccanismi di assunzione, conosceva molte persone importanti che salutava con rispetto. Si muoveva con disinvoltura, con i colleghi era diventato arrogante. Non aveva particolari attitudini, non aveva talento. Faceva lo stretto necessario e quando il lavoro aumentava si assentava fingendosi malato o prendendo giorni di ferie. Dava del tu a molti dirigenti, li trattava come persone di famiglia. Conosceva la vita privata di molti capi d’azienda. Culturalmente era scadente, non aveva conoscenze illimitate. Il suo sapere era limitato. In alcuni contesti con i colleghi faceva il furbo. Era sempre presente a rinfreschi, riunioni, feste d’ufficio. Non si degnava di fare favori ai colleghi, anzi se si presentava l’occasione, faceva dispetti. A colleghi capaci staccava i fili del pc, rompeva la cassettiera quando si assentavano. Era invidioso della preparazione degli altri. Lui sapeva usare bene le sue conoscenze e aveva sempre partita vinta. I dirigenti lo portavano in pianta di mano, lo proteggevano, lo difendevano, gli affidavano compiti delicati. Lui era depositario dei segreti di tutto l’ufficio. Sapeva dove certi incartamenti erano conservati, dove i dirigenti si riunivano per il bilancio. Veniva mandato in trasferta, in missione, a seguire congressi, convegni. Non sempre era all’altezza dei suoi compiti, però nessuno sembrava notare le sue mancanze. Gli errori di molti venivano ingigantiti, i suoi attenuati. Veniva lodato in presenza dei colleghi. I superiori lo stimavano, stravedevano per lui. Spesso con l’auto aziendale sostituiva gli autisti malati e accompagnava i capi. Nessuno ovviamente osava toccarlo, dire male di lui, affrontarlo. Aveva una stanza tutta per lui, mentre gli altri stavano in tre in una stanza angusta. Spesso si recava a colloquio nelle stanze dei superiori. Con il passar del tempo la sua sicurezza era cresciuta come la sua autostima. Si convinceva di essere un impiegato modello e quindi aspirava a una promozione. Schegge di ambizione danzavano nel suo sangue ribollente. Scalpitava come un cavallo, smaniava come una persona febbricitante, fremeva perché ambiva a fare carriera. Aveva tutte le carte in regola. Ai suoi occhi era perfetto, disponibile, capace. Si guardava intorno alla ricerca spasmodica di consensi. Si aspettava l’elogio dei superiori, il regalo dei colleghi a Natale, il rispetto di tutti. I fondo meritava di essere premiato visto che era serio e onesto. Altri colleghi avevano gli stessi requisiti, titoli, ma non sembravano godere il favore dell’azienda. Intanto in ufficio continuavano i dispetti, le sottrazioni di denaro, gli scempi. Nessuna prova era stata raccolta, nessuno osava ribellarsi. La protezione era notevole e nessuno fiatava per paura di ritorsioni. Gli stessi buoni pasto venivano sottratti, i pc rotti, gli armadi violati. All’ultimo arrivato era stata affidata l’organizzazione dell’attività sindacale dell’ufficio, che gli consentiva di penetrare più a fondo nel tessuto dell’ufficio. Metteva il naso ovunque, si interessava di ogni cosa persino della vita privata dei colleghi, che sovente derideva. Dall’alto della sua posizione guardava tutti dall’alto in basso con sguardo critico . Poteva batterli, farli fuori, eliminarli con un colpo secco. Un radioso mattino di primavera, quando il sole inondava le stanze dell’ufficio e gli uccelli cantavano nel giardinetto sottostante, si diffuse la notizia della sua promozione. Era un uomo valido, si era prodigato per l’azienda, andava premiato. Doveva guadagnare di più, prendere le distanze dagli altri. Una circolare, un ordine di servizio misero nero su bianco le voci che circolavano. Era stato promosso e si pavoneggiava come uno scolaretto che ha preso la licenza elementare. Dopo la promozione si sentiva in dovere di offendere chi era rimasto indietro, chi non era riuscito a migliorare la sua posizione. Dopo la promozione aveva abbandonato il sindacato, non né aveva più bisogno. Gli anni di servizio non contavano, non contava la dedizione, la cultura, l’educazione, il rispetto, l’onestà. Persone laureate, studiose, seriamente impegnate nel lavoro erano rimaste indietro. Lui si era meritato il successo. Tutti gli stringevano la mano, i dirigenti si congratulavano con lui con ampi sorrisi di consenso. In poco tempo aveva sbaragliato tutti, aveva conquistato la stima dei superiori, il rispetto degli inferiori, era temuto, difeso, protetto. Poteva agire liberamente, parlare con audacia. Gli altri colleghi, che per anni si erano dedicati al lavoro, erano puntini lontani, insignificanti braccia, pura manovalanza. Lui si atteggiava a intellettuale, a uomo di cultura, a personaggio di spicco. Aveva trovato la strada giusta, qualcuno era intervenuto in suo favore. Era l’arte di arrangiarsi, era il sistema delle raccomandazioni che ancora dava i suoi frutti, nonostante le mille parole che ora si perdevano nel vento caldo di primavera. Ora era un uomo arrivato. Sua moglie ballava dalla gioia, suo figlio si dava a spese pazze. Fare carriera significava anche aumentare le sue entrate, non era solo una questione di prestigio. Ora era ammirato dai colleghi, a tratti temuto. Nessuno osava fiatare, osava contraddirlo, tutto come niente fosse. Il silenzio regnava sovrano nella sua stanza ordinata e linda. La sua stanza cominciava a riempirsi di oggetti d’argento, di quadri di valore. Avrebbe fatto altri salti di qualità, doveva solo attendere. Il merito era suo se l’azienda prosperava. I colleghi guardavano allibiti e intanto capivano perché una nazione a poco a poco colava a picco. Con queste premesse una nazione che si rispetti non sarebbe andata da nessuna parte.
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