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Promuoversi non è un male

Da Marcofre

Ci sono una serie di obiezioni all’idea che un autore debba promuoversi. Secondo alcuni, tanti in realtà, non sarebbe… bello? Dignitoso? Nobile? Vediamone alcune nel dettaglio.

  • Un autore deve pensare solo a scrivere. Magari. Mangiare, bere, guadagnarsi da vivere? Orsù, in Italia nessuno (a parte quelli che finiscono nei primi dieci della classifica dei libri più venduti), può permettersi di pensare solo a scrivere. Lo vorrebbe fare, si capisce: ma c’è quella faccenda chiamata vita che si porta con sé varie incombenze. Bollo auto, assicurazione, revisione auto, tasse…
  • Il libro non è un prodotto! Vero. È un bene. Ma lo coccoliamo solo noi, oppure proviamo a vedere come se la cava in giro per il mondo? Se la letteratura è tanto mediocre forse è perché i buoni libri non si fanno nemmeno trovare. Gli editori spesso pubblicano quello che piace e va di moda, benissimo. Tanti auguri.
    Perché non provare a dimostrare che è possibile vendere anche quello che secondo loro non ha mercato? Usando alcune delle loro medesime armi, esatto.
  • Se usi i loro metodi, sei come loro.  Se uso i loro metodi, lo faccio per dimostrare che hanno torto. Ragionano in termini di profitti, mode e via discorrendo (tutti aspetti che una casa editrice deve tenere in conto)? Ottimo. Se però riuscissi a ottenere dei risultati “sorprendenti” utilizzando le loro medesime armi?
    Sarebbe almeno divertente, no?
  • Chissà cosa pensa la gente. Ci sono due tipi di “gente”: quella che non cambia mai idea (buon viaggio ragazzi, in fondo al burrone siete tantissimi, lo so), e quella che la cambia. È meglio puntare l’attenzione su questa minoranza, e dimostrare loro che un prodotto vale anche se è auto-pubblicato. Però non basta dire: “Ehi, compralo! È il mio!”.
  • La promozione si fa perché manca il valore. Ne siamo certi? Lo scopo è di far conoscere alle persone che c’è qualcosa di nuovo. Spesso questo qualcosa di nuovo è un obbrobrio, ma voglio ricordare che Dickens pubblicava le sue opere sui giornali. Non è promozione, usare il mezzo di comunicazione più popolare dell’epoca? Inoltre, come si fa a giudicare qualcosa se non è nemmeno conosciuto?
    Come è possibile dire: “È senza valore”, senza avere avuto la possibilità di buttarci un’occhiata? E come faccio a buttarci un’occhiata se non so nemmeno se quell’opera esiste?
  • Nessuno è disposto a credere alla promozione di un autore se non la fa un editore. Interessante. Il valore non è nello scritto, ma nella casa editrice. Quindi secondo questo modo di ragionare, posso scrivere delle idiozie e siccome un grosso editore le pubblica e mi manda in giro per il Paese a parlarne, allora va bene.
    Stiamo scherzando, vero?
  • Il digitale è sinonimo improvvisazione. E pubblicare con una casa editrice, sarebbe sinonimo di cosa? Di professionalità? Orsù, basta guardare cosa passa il convento. Buona parte dei 20 libri più venduti in Italia in questo momento fanno smascellare dalle risate chiunque abbia una minima conoscenza della letteratura e dell’arte. Che poi il 95% dei libri auto-pubblicati facciano piangere, è risaputo. E questo cosa dimostra? Esatto: che occorre guardare (se possibile) caso per caso, e non lasciarsi trascinare dal pregiudizio.
  • Non puoi credere che la promozione si sposi con l’arte. Svelerò un segreto. I grandi artisti del passato (Leonardo; Michelangelo; Raffaello, eccetera, eccetera), campavano perché si promuovevano. Non stavano a casuccia ad aspettare che il signore venisse a sapere della loro esistenza. Si muovevano. Si presentavano, facevano di tutto e di più per entrare nelle sue grazie. Corrompevano, cercavano di stringere amicizia con quanti gravitavano nell’orbita del signore. È la vita, bellezza.
  • La letteratura è nobile! Ancora? La letteratura è comunicazione. Fine.

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