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Pronuncia d’inverno, di Evelina de Signoribus

Creato il 22 febbraio 2011 da Fabry2010

 Pronuncia d’inverno, di Evelina de Signoribus

Vegliare

Si può scrivere di dialoghi comprensibili solo per se stessi se lo sguardo dell’interlocutore segue altre storie? Così penso che un mio amico se n’è andato, scavalcando un’aiuola, completamente sfrenato. Quando l’ho raggiunto, mi hanno detto che parlava da un paio d’ore ma nessuno lo intendeva. Aveva in mano un bastone con la punta in acciaio, di quelli che si usano per allontanare le vipere in montagna. Mi disse che un pensiero gli era rimasto, quello di salutare la piazza. Qualcuno pensò che il bastone gli dava un’aria da saggio. Qualcun altro notò la somiglianza con il vecchio prete. Respirava affannosamente, io osservavo e non facevo niente più degli altri. Per questo non dormo più e vi vengo a svegliare.

*

Pausa

Il rumore, nella mia stanza, era talmente penetrante quel giorno che ho preso la testa tra le mani come a tamponarlo. Mi incurvavo così finché non sono caduta inginocchio, poi, distesa. Non ho sentito dolore, anche per il tappeto che ha attutito l’orrore del colpo. Credo di essere rimasta così per qualche minuto. Il mio disagio era lunare perché non sapevo da dove provenisse. “Disagio lunare non ancora finito di stampare”, diceva una nota affissa alla bacheca dell’Accademia. Non so a chi fosse indirizzata, sicuramente il disagio terrestre ha finito con lo svestire ogni passione.

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Gli incontri

Questa persona con il lumino in mano assomiglia un po’ a te. Si fa nera con la spiaggia verso sera, sottovoce, non illumina il suo viso. Ora posa l’oggetto su un sasso e dice di soffermarsi a lungo sulle cose, ma lei ha una storia troppo breve perché possa dilungarsi. In modo strano si interrompe e svia tre passi più in là. Pensa già di aver parlato troppo. La notte è scaltra a quest’ora, tra le vie, ma non c’è dispersione fra il mugolio, solo l’individualità. Io rivedo situazioni particolari, magiche, né promettenti. Il fermento anche è sotto inteso come un ansioso entrare e uscire dai negozi solo per guardare. Se non fosse banale dirlo questo cielo è blu notte e nell’impatto qualcosa frigge, di consumato e scarno.

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Le pulizie

Spostando gli oggetti da una mensola all’altra, mi accorgo che qualcosa manca. Lo spazio qui non regna più sovrano da tempo… mancano forse alcune simmetrie che nei leggeri spostamenti mi illudo di ricoordinare. Le sfumature dei colori o le differenti dimensioni. Ora, per esempio, sono attenta a bilanciare una pendenza ma di soppiatto un calore improvviso entra in questa casa e non percepisco più nulla. Il tutto è indifferente e trabocca di innocenza. La stanza dove mi trovo oscilla sempre più ed io con essa e strizzo l’occhio.

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Le notti Nella notte che teme la pioggia, temono tutti i rumori di essere scoperti. La prima volta che ho dormito in questa casa non me la ricordo, la seconda sì, ed è stata quasi tranquilla, la terza è la seguente. Gli insetti sui vetri, i passi sull’erba, l’auto che sembra fermarsi alla prima curva… il rumore del frigorifero mi distoglie per un attimo, l’ascolto. Mi alzo. Sacrificare il sonno vagando da guardiano notturno, mi chiarifica la vista di persiane ben incastrate ma mai tanto sicure. I mobili tarlati mi dichiarano che il silenzio si presterà, presto, ad annuncio. La cavalletta, il grillo, il ragno, il mostro informe, la sorella o nessuno che dorme. La candela non ancora del tutto spenta, gli aghi dei pini infiammabili, il sacro consolidamento delle mura, il mio gomito che striscia sul bracciolo di una poltrona, il controllo come abitudine acquisita, la meta auspicabile di sicurezza, la sfrontatezza generale. La temperatura lontana dal corpo, le righe del copriletto come lembo di terra, i cataloghi di architetti famosi come prova di forza. Le bende sul grembo immacolato, le lontane tavole conviviali, le isteriche pulsioni sentimentali e il tarlo che continua a rosicchiare le antiche icone di famiglia. Il costante cedimento del mio braccio, il diverso tarlo in ogni stanza. Il disequilibrio di ogni abitante che sia terrestre. (Niente mi rimane, la mattina presto, che squarciare le imposte).

*

[testi tratti da Pronuncia d'inverno, di Evelina De Signoribus, con una nota di Enrico Capodaglio, Canalini e Santoni, Ancona, 2009]

[l'immagine è tratta dalla splendida storia a fumetti di Ryan Andrews "Nothing is forgotten", che trovate qui : http://www.ryan-a.com/comics/nothing-is-forgotten-chapter-1.htm]



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