di Salvatore Sblando
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– bambina –
Se schioccano le dita e si scheggia tenero
il confine delle unghie,
se le labbra si fanno nere latte di insulti e pianto,
se lungo i fianchi si affastellano smorzati pallidi
i frutti del primo plenilunio di gelo e di metallo
– bambina –
chiamava con gli occhi appuntiti come chiodi
più dentro [infondoeoltre] ancora, e con la rabbia
crescevano i silenzi cuccioli di gatta muta ed una
tomba fatta mani e bocca nello scorrere del tempo
in schizzi sporchi per quel gioco che è costato
vita intera, scacco matto, e tra le cosce esili
la certezza della morte, che invece non arriva
nemmeno a occhi così spalancati
da slabbrare [finoallafine] lo sguardo all’orizzonte,
se dopo questa carne d’innocenza andata a male
non resta nulla che non sia sapore acarie e ruggine,
se sottopelle raschia vene e ossa un tarlo
che è condanna ripetuta ad uno specchio sordo
– bambina –
chiama adesso la stessa voce inghiottita che bolo crudo
torna e brucia in gola, la catenella del perdono è il cappio
che stringe troppo forte un diamante grezzo sdoppiato
all’infinito, è l’eco di ogni negazione spago intorno
che si tende in un abbraccio monco di ogni meraviglia,
è l’essere dovunque e persa tra una parola e il corpo
il danno misurato che circoncide nel ricordo l’ombra
di ciò che era chiara luce, prima d’essere vuoto a(r)rendere.
di Silvia Rosa
si lasciano cadere
le parole
come salici sulla terra
e le ripiego
dentro a un foglio
-come a un foglio o una maglia dismessa-
sul fango d’autunno
che odora di mandorle amare
e carbone
di Santina Lazzara