Lo chiamavo Maruf: come il
(ri)Conosciuto e come Silvestro Maruffi, compagno di fiamma del Savonarola.
Lo chiamavo Maruf e lui accorreva, certo per pura gentilezza, dal momento che il suo vero nome doveva essere un altro.
Celando fatica e pena accorreva, sorgendo dai cartoni umidi che aveva eletto a dimora per i suoi lunghi deliqui, levando verso di me un musetto i cui difetti formavano un mosaico di struggente bellezza.
E a volte, per rispondere alle carezze che gli facevo, lui così debole e malato spiccava balzi che parevano arcobaleni, che parevano canti di gallo silvestre.
E adesso, dopo tanto, Maruf è tornato. Non più nel suo corpo di gatto, ma, credo, in un corpo di uomo. Dico credo perché, senza incontrarlo de visu, da qualche tempo ricevo saluti elettronici (chissà se levantisi da cartoni umidi dopo lunghi deliqui) che sono come quei balzi arcobalenici, come quei canti di gallo silvestre.