Il mio autore preferito, al quale mi legano non poche suggestive circostanze (ad esempio morì il giorno stesso in cui nacqui) e di cui cui ho tradotto diversi libri, era quello che si dice un tipo strano.
Una delle sue stranezze, almeno secondo certe voci, è che verso la fine siglava ogni suo scritto con la formula: “Da pubblicare entro 24 (ventiquattro) mesi dalla mia morte, decorsi inutilmente i quali deve essere distrutto”. Ma forse questa è pura diceria, dal momento che di lui non è stato trovato alcun inedito, né con quella formula in calce né senza.
Così si esprime la biografia ufficiale e così anch’io credevo fino a poche settimane fa, quando mi è giunto in plico anonimo un suo manoscritto.
Ho riconosciuto la grafia, lo stile, persino il tipo di carta su cui il mio autore preferito abitualmente scriveva. Doveva trattarsi proprio di uno degli ultimi lavori, se non addirittura dell’ultimissimo, portando una data che precedeva di appena tre mesi quella della morte dello scrittore. E in un foglietto a parte ma spillato al resto (un po’ di ruggine dello spillo si era fissata alla carta), ecco parola per parola la famosa formula, scritta del medesimo pugno.
Dovevo capire, e per farlo dovevo trovare elementi che andassero oltre i riscontri documentali. Io che non mi muovo mai, che studio tutto dal mio tavolino facendo viaggiare i materiali (il più delle volte copie di copie di copie), non ho potuto fare a meno di organizzare un viaggio al suo ultimo indirizzo, di cui non sapevo altro che era il più misero di una vita in discesa.
Dopo quasi un giorno di treno e due ore di corriera arrivo nel brutto villaggio dove morì. Seguendo le indicazioni raggiungo l’indirizzo, una piazzetta sghemba circondata da vecchie case alte e strette, visibilmente povere e sgraziate ab origine, ed ora malandate per l’età; quella dello scrittore, la più malandata di tutte. Noto subito con un tuffo al cuore che il luogo nell’insieme è quasi identico a quello in cui attualmente abito io, a parte il fatto che qui non c’è l’ippocastano della mia piazzetta, ma uno sterrato dove sono parcheggiate automobili che da noi sarebbero buone solo per lo sfasciacarrozze.
Perché non mi accontento di quello che ho visto, che pure è abbastanza? Perché non me ne vado subito, che cosa mi spinge a fermare un anziano che passa e a interrogarlo?
“Scusi, ma in quell’angolo non c’era un ippocastano?”
“Sì, c’era, ma è stato tagliato una trentina d’anni fa per fare posto alle macchine.”
Ringrazio, saluto e finalmente me ne vado, torno dritto filato, senza voltarmi e senza fare soste, a casa mia.
Non appena arrivato distruggo il manoscritto del mio autore preferito e in calce ad ogni mio inedito aggiungo a mano la formula che ormai conosco a memoria.
I morti vanno lasciati in pace, e non solo i morti.