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Provocazione in forma d’apologo 180

Da Fabry2010

L’ovile di un giovane pastore cominciò a subire devastanti razzie da parte dei lupi.
Non più soltanto una pecora o due sbranate, ma mezza dozzina per volta, e sempre più di frequente.
Così, visto che rinforzare ed alzare il recinto non era bastato, il pastore decise che era giunto il momento di lasciare il suo letto caldo in paese e passare le notti all’ovile, facendo la posta al branco.
Alla terza notte l’assalto venne: ma non si trattava dei lupi, bensì di un lupo solo, gigantesco, con gli occhi di fiamma e il pelo nerissimo striato di rosso ruggine. Superò con un balzo che parve stregato l’alto recinto e si piantò davanti al pastore che, subito in piedi, l’affrontò col fucile spianato. Mentre le pecore si sbandavano qua e là dietro di lui, il pastore gridò: “Chiunque tu sia vattene, e non tornare mai più!”. Ma il lupo, per nulla intimorito, si fece sotto, nell’atto di balzargli addosso. Il pastore sparò, un colpo solo, preciso. Il lupo ricadde colpito a morte, sul muso un’orribile smorfia che pareva una risata.
Per nulla tranquillizzato da quella vittoria il pastore decise di rimanere anche le notti seguenti, e fece bene. Ogni notte da allora venne un lupo, sempre più grande di quello della notte prima, con gli occhi di fiamma e il pelo nerissimo nel quale le striature di rosso ruggine eran sempre più numerose. E ogni notte la scena si ripeteva: la formula ingiuntiva, l’attacco, lo sparo e la morte del lupo, sul cui muso restava la traccia di una risata sempre meno equivocabile e più orrenda.
Il pastore non lasciò più le sue pecore, che l’avevano sempre amato, anche se ora sembrava che cominciassero ad avere paura di lui: in effetti, quando gli lanciava il suo richiamo, la voce gli usciva come fosse un ululato, e quando gli capitò di guardarsi nel pezzo di specchio che ogni tanti mesi gli serviva nell’operazione di accorciarsi la barba, vide un viso che a lui stesso parve poco meno che lupesco. Rise, imprecò, gettò lontano lo specchio che finì contro una pietra infrangendosi in mille frammenti.
Il pastore, come s’è detto, non tornò più in paese, nella sua casa, dalla sposa e dai figli. Né la sposa, spaventata o crucciata che fosse, fece mai la poca strada che separava il paese e l’ovile per vedere il suo uomo e parlargli.
Solo dopo anni si decise a quella sgambata l’anziano parroco, uno che nella sua vita ne aveva viste tante; ma quando giunse nelle vicinanze dell’ovile e di lontano scorse ciò che il pastore era diventato e ne udì il benvenuto che pareva un urlo di belva, scappò di carriera, tornò di volata al paese, e su quell’avventura non ci fu verso di strappargli una sola parola.
Passarono altri anni e un’altra persona venne a trovare il pastore, ormai quasi vecchio, e non ebbe paura di lui: la sua prima figlia, la preferita, già sposa e madre a sua volta. Si strinsero e si parlarono, né fecero fatica a capirsi: lei lo scongiurava piangendo di lasciare quell’opera inane, di tornare al paese, alla vita. E lui, commosso ma senza una lacrima, rispondeva che aveva intrapreso quella missione perché aveva creduto la sua vita fondata su certi pilastri, e quei pilastri doveva difendere fino alla fine, qualsiasi cosa fosse accaduta. Ci pensasse lei, se sapeva, ad educare i suoi piccoli a idee diverse, a un’esistenza che lui non riusciva a immaginare ma che pensava potesse essere migliore di quella che aveva condotto. Lui non poteva far altro che difendere le sue pecore, che un tempo avevano avuto persino paura di lui, ed ora non più; ma le pecore son pecore, si sa, ed hanno paura di tutto. Difendere le sue pecore contro il lupo che ogni notte veniva, sempre più grande e agguerrito, fintanto che riuscisse a reggere il fucile e a far fuoco; e poi, nel solo modo che sapeva, impedire che cadessero vive sotto quei terribili denti.
La figlia capì che non c’era altro da dire o da fare, che giusta o sbagliata, assennata o folle la decisione del padre era presa per sempre, e prima di andarsene gli chiese la sua benedizione. Ma l’uomo, rattristandosi ulteriormente nel volto, gliela negò, adducendo che troppo sangue aveva sulle mani, che troppa belluina raucedine aveva nella gola.
Così la figlia del pastore lo salutò per l’ultima volta, e giunse al paese appena in tempo prima che cadesse la notte.



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