Ho passato da un pezzo i trent’anni; dopo la laurea, per ingannare il tempo, ho fatto qualche master. Ovviamente sono ancora precario. Ma oggi è la grande occasione, mi hanno preso in una televisione come intervistatore e devo recarmi a un oceanico evento di piazza tra il sociale e il politico per sondare gli umori della gente.
Sono ai margini del serpentone colorato che esegue coreografie e scandisce slogan. Fermo un signore di mezza età con la famiglia, e gli rivolgo le domande che sembra logico rivolgere in situazioni del genere. Poi, al momento di ringraziare salutare e passare ad un altro, lampo di genio. Gli chiedo: “Oltre a scendere in piazza, in quali altri modi lei e la sua famiglia vi impegnate per il prossimo?”.
“Be’, con gli sms di solidarietà, con le adozioni a distanza e col volontariato.”
“Càspita, tanto di cappello. E, se posso chiederglielo, lei avrà qualche risparmio in banca…”
“Be’ certo: il dentista, la scuola dei figli…”
“E anche l’auto e le ferie, ci mancherebbe. Posso chiederle come li impiega?”
“Buona parte del mio gruzzoletto è in fondi bilanciati.”
“E, scusi ancora, scelti come?”
“Per rendimento e affidabilità.”
“Non per composizione e impiego?”
“No, come si fa? Da questo punto di vista sono tutti ugualmente impenetrabili, almeno per uno che ha la mie scarse competenze e il mio poco tempo per studiarne le condizioni. Perciò tanto vale.”
“E posso chiederle dove fate le spese di casa?”
“Il sabato pomeriggio andiamo in un grande centro commerciale e facciamo gli acquisti necessari per tutta la settimana.”
Questa volta lo lascio davvero e passo ad altri, che mi dicono più o meno le cose già ascoltate da lui.
Torno in redazione, faccio montare il pezzo e aspetto l’ok del mio responsabile. Sono conscio dell’impegno profuso e un po’ fiero del valore aggiunto, ma insomma non si sa mai. E infatti il responsabile mi chiama e con una strana faccia mi dice: “Tu sei di certo un bravo ragazzo, preparato, anche brillante. Ma cosa mi combini, proprio il primo giorno?”
“Ma io…”
“Ma tu. TU. Tu vuoi raddrizzare le banane e le gambe dei cani, che il buon Dio ha fatto storte. La gente vive come sa e come può, quelli che ti ho mandato a intervistare sono fra i migliori e non hanno bisogno che un cane sciolto gli metta nell’orecchio le proprie pidocchiosissime pulci. Servisse a qualcosa, poi.”
“Ma allora?”
“Allora. Allora questa sera rifletti e domattina mi saprai dire che cosa vuoi fare da grande. Intanto va’ a casa e nel notiziario delle venti guardati il servizio.”
Guarda guarda, un capo con la sindrome paterna! Ubbidisco. Mentre riscaldo la pizza precotta guardo il servizio con qualche inquadratura d’atmosfera in più e qualche domanda in meno: ineccepibile, irriconoscibile.
E va bene. Adesso mi mangio questo schifo di pizza con un paio di birre, poi sfoglierò un paio di libri con un po’ di musica. Quindi andrò a letto dove la notte (probabilmente insonne) forse mi porterà consiglio. Dopo di che saprò dire.
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