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Provocazione in forma d’apologo 195

Creato il 12 aprile 2011 da Fabry2010

Sono un tipo sgradevole. I primi a dirmelo furono mamma e papà, appena fui in grado di capire il concetto e le espressioni colorite con cui lo illustrarono. Poi me lo dissero maestri e professori, datori di lavoro, compagni di studi e d’ufficio. Me lo disse scappando e strillando la mia unica donna, che durò nemmeno tre giorni e che sostituii vantaggiosamente con rapporti basati su chiarezza e sveltezza.
Va bene, sono un tipo sgradevole. Ma perché, in che cosa consiste la mia sgradevolezza? In tantissime cose, a quanto ho capito, ma soprattutto nella bastiancontrarietà, nel fatto che quelle che commuovono gli altri a me fanno ridere oppure mi mandano in bestia. E che ai giochetti di parole dei potenti e dei loro lacché non mi accodo con scodinzolii ossequiosi. Il massimo che l’esperienza mi ha insegnato per non farmi troppo male è ritirarmi, ma mi ritiro imprecando e non a voce bassissima, e persino questo è troppo per certe auricole delicate. Non ho fatto una piega quando qualcuno ha cambiato la qualifica delle mie conoscenti, ho preso io stesso ad apostrofarle chiedendo: “Dove mi scorti stasera?”. Ma quando con facce di stoccafisso hanno cominciato a parlare di “responsabili” e di “volenterosi” non ci ho visto più. La mia tribù, se mai ne ho una, non è questa davvero. Sono un tipo sgradevole, va bene, benissimo. E voi cosa siete?

Ancora due parole: su Erre, l’unico amico che ho. Almeno, lui si dice amico mio e i suoi esercizi dialettici fino a un certo punto mi divertono senza farmi uscire dai gangheri. Lui viene con una certa frequenza a trovarmi e in fin dei conti è il solo che io non metta alla porta nel giro di cinque minuti. A volte resistiamo, io a lui e lui a me, perfino quasi mezz’ora. Lui dice che sono allo stesso tempo un caso di studio e un caso umano: prende golosamente appunti e (in cambio, sostiene) mi racconta per filo e per segno cosa dovrei dire e cosa dovrei fare per raggiungere i miei scopi (afferma che ne ho) senza vivere male come (secondo lui) invece vivo. Però a pensarci bene, col suo macchiavellismo gesuitico all’apparenza pacato in realtà fegatoso, Erre è un bel pezzo di Emme. Insomma Erre è quasi il peggio che c’è. Ho deciso: la prossima volta che suona di sotto il ponte levatoio resterà sollevato, e se insiste un buon pentolone d’olio in testa non glielo leverà nessuno.



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