Da bambino la sua passione erano le rappresentazioni miniaturizzate della vita, meglio se incastonate l’una dentro l’altra. Mostrava anche una preoccupante attrazione per specchi, microscopi e binocoli. Poi crescendo si era scosso: aveva scritto saghe diventate best seller, venduto centinaia di migliaia di copie. Ma in seguito, forse tornato ai primi amori, si era limitato a qualche articolo d’erudizione, a delle note a margine. Quando, né vecchio né giovane, morì, nel grande cassetto centrale della sua scrivania, in un guazzabuglio di cartoline d’auguri, pubblicità postali e ritagli sottolineati, trovarono una busta spiegazzata.
Nella busta, un foglio a stampa con le seguenti frasi:
“Da me si aspettano ancora dei racconti, ma io non ne ho più. Ho soltanto un cassetto pieno di collane col filo spezzato o sul punto di spezzarsi, perle che vanno e che vengono rotolando con un ronzio sottile. E in ogni perla altri cassetti, altre collane, altre perle ancora. E i mutamenti delle nuvole, gli odori dei paesaggi, le imminenze d’attesa dei tramonti che non sfociano se non in altre notti e altri giorni. E sempre, quando un intreccio o un personaggio sembrano riaffacciarsi, subito vengono a distogliermene perle e collane, nuvole e odori, attese che non portano a niente – se non, a volte, ad esiti così repentini e bizzarri che non vale proprio la pena di parlarne, e ancor meno di scriverne”.
Sotto, una mano affrettata ma ferma aveva aggiunto queste parole:
“Perle, collane, nomi nudi. E la speranza che questo groviglio colorato sia il rovescio di un tappeto bellissimo”.