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Con due articoli on line, pubblicati in questi giorni da "il Giornale di Fidenza", si ritorna a parlare di PSC dal punto di vista di coloro che chiedono una maggiore partecipazione ai processi decisionali. Il primo è una intervista all'architetto fidentino Luca Rigoni, il secondo, di Diego Bonelli,, commenta e ripropone stralci dell'intervista. Dunque, ecco il punto, Rigoni, a domanda risponde: “Ribadire che si deve partecipare con consapevolezza al processo pianificatorio è più che mai necessario, perché è in gioco il domani di questa popolazione e del suo territorio di riferimento. Il rimorso retroattivo arriva purtroppo sempre in ritardo e non è mai privo di demagogia” “Non possiamo lamentarci dell’urbanizzazione scriteriata della nostra fascia agricola precollinare, e, nella fattispecie, mi riferisco soprattutto a Villa Ferro, solo quando il quartiere è stato terminato. Era invece necessario opporsi nel 1996, al momento della stesura di quello che allora si chiamava PRG, ossia Piano Regolatore; allo stesso modo, la tutela di Villa Panini avrebbe dovuto essere preoccupazione della cittadinanza, della Soprintendenza e di Italia Nostra ben prima che le regole fossero già fissate e che il mercato le applicasse. Queste stesse considerazioni si possono poi applicare ad altre realtà spesso sulla bocca dei fidentini, come le famigerate torri dei Nuovi Terragli o la Solveko”.Per parte nostra abbiamo già scritto in questo blog come la pensiamo. Prima cosa: svincolarsi dal simulacro del "partecipazionismo", una sorta di meccanismo assemblearistico pochissimo partecipato, che, ai tempi dell'ultima giunta di centro-sinistra, ha avuto il suo massimo splendore (c'era addirittura una delega assessorile "alla partecipazione"). Risultato? Tra rotonde, abbondanti e isolati quartieri periferici, cantieri interminabili, Nuovi Terragli e vecchie speculazioni andate a buon fine, il risultato è sotto gli occhi di tutti, dimostrando nei fatti la "bontà" -si fa per dire- del metodo. Dunque, questione di metodo. Noi crediamo occorra ridare, senza pregiudizi ideologici, anche al singolo l'opportunità di intervenire nei processi formativi delle scelte (le decisioni sono di competenza degli eletti in Consiglio comunale e del Sindaco, che ci mette la faccia) avendo la consapevolezza che le scelte nascono e si alimentano dei contenuti della cultura del proprio tempo; dunque, mai definitive -chiavi in mano- ma sempre parziali; ed è questa parzialità l'evento più avanzato della coscienza collettiva. Il resto sono chiacchiere dietro cui, alle volte, si nascondono privatissimi interessi speculativi, spacciati per interesse pubblico.No, ad ognuno le sue responsabilità. Gli architetti, non devono fare i politici. Come ricordava Massimiliano Fuksas in una intervista a "la Repubblica" dell'anno scorso, "la politica ai politici. Gli architetti si occupano di ben altre cose, di abbellimento formale, di decoro...", insomma, visto che la responsabilità è politica, sta ai politici ascoltare, capire la città e i suoi problemi, tenendo conto delle opinioni di tutti, sapendosi accontentare di creare le premesse per uno sviluppo (no, noi non siamo quelli dello sviluppo zero) i cui frutti verranno solo con il tempo.Ma come si fa a tener conto della volontà dei cittadini? "Prima ancora che nella bocca, la democrazia sta nelle orecchie" scriveva il filosofo Guido Calogero. Naturalmente, perché qualcuno ascolti, bisogna bene che qualcuno parli: questione di metodo. Le assemblee, le riunioni dovrebbero diventare una conversazione organizzata che si svolge, di volta in volta, su un dato argomento e dove è possibile ad ognuno esprimere la propria opinione, nei limiti di tempo compatibili col diritto di ogni altro ad esporre la propria. Poi, ad ognuno le sue responsabilità, entra in gioco la politica. Per il centro-destra, oggi, fare politica significa selezionare, scegliere, assumersi delle responsabilità, dare delle risposte, in altre parole, governare avendo il senso strategico dell'immaginare la Fidenza del 2020, non solo quella dell'abitare, ma anche di una qualità urbana che tenga conto di uno sviluppo, una volta si diceva "sostenibile", che abbia la capacità di attrarre iniziative imprenditoriali dove possono trovare lavoro non solo commesse e carrellisti, ma anche giovani laureati, e ancora, creare le condizioni per attivare flussi d'interesse legati alla vocazione agro-alimentare del nostro territorio, e vivacità culturale a tutto campo in un ambiente urbano ben conservato, civilmente godibile, inserito in una attrezzatura urbana efficiente, che consenta al cittadino di muoversi facilmente, e ancora, risanare, ricolorare, ripensare il centro storico, che altrimenti muore, creando le condizioni e l'interesse per investire in attività commerciali e dei servizi, magari dando un segnale visibile della volontà di cambiamento a partire da una immagine diversa e più verde di piazza Garbaldi.Già, è ora di pensarci, prima che il PSC pensi a noi...
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