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Psicologia dello Sport: la paura di vincere.

Da Dottmurray

Casey Stoner, grande campione del Motomondiale, si ferma dopo molte vittorie e un anno difficile: non corre più, troppo stress.
Michael Schumacher nel suo giorno più amaro capisce di essere umano, troppo umano, e dopo essere stato richiamato come salvatore della patria dalla Ferrari è costretto a rifiutare per un dolore al collo e a rimandare il rientro in F1.
Flavia Pennetta, la tennista brindisina, è la prima donna italiana a entrare nella top ten del tennis, ma poi si ritira davanti alla temuta Dinara Safina, come se nel suo cuore sentisse che fino lì non può ancora arrivare.
Federica Pellegrini, la ragazza d’oro del nuoto italiano, torna a vincere solo dopo avere pensato di morire inghiottita dalle acque della piscina.
Campioni sempre più androidi, come l’uomo più veloce al mondo, il giamaicano Usain Bolt , riescono a battere record impossibili, però poi crollano davanti all’avversario imprevedibile: la loro mente.
Sarà questa la sorte anche dello sprinter statunitense Tyson Gay che dopo aver inutilmente stracciato il record americano si è visto superare da un Bolt mostruoso?
Campioni che per vincere devono prima passare dalla stanza dello psicologo.
“Negli ultimi 10 anni la parte psicologica di uno sportivo è diventata sempre più importante” spiega Piero Astegiano, vicedirettore dell’Istituto di medicina dello sport di Torino. “Ho riscontrato una fragilità psicologica inaspettata da parte degli sportivi. Ma dobbiamo anche ricordarci che parliamo di ventenni”.
Stoner di anni ne ha 23, tanti quanti Laure Manaudou, la campionessa di nuoto francese che ha mollato tra pianti e foto hard. “Non sono contrario agli atleti che staccano, meglio fermarsi, magari per un periodo, che fare blackout.“Bisogna saper riconoscere i primi segnali di disagio” avverte Daniele Popolizio, psicologo e psicoterapeuta: “I meccanismi che ti fanno vincere, che ti aiutano a non ripetere gli stessi errori si applicano allo stesso modo nello sport e nella vita di tutti i giorni”.
Da tre stagioni segue Pellegrini, l’ha aiutata a tornare a vincere, anche grazie a una semplice frase, “una piccola pozione magica” che lei si ripete come un mantra: “Non è reale”. Non è reale la paura di perdere o, forse, di perdersi.“Federica ha vinto perché era molto preparata anche dal punto di vista psicologico. Era pronta ad affrontare qualsiasi imprevisto. Ha vinto perché ha retto le aspettative che crescevano intorno a lei”. Popolizio è il “mental coach”, come preferisce farsi chiamare, che segue i grandi del nuoto italiano come Luca Marin, fidanzato di Pellegrini, Filippo Magnini, Alessia Filippi, Edoardo Giorgetti e, dall’autunno, Carolina Kostner, la campionessa di pattinaggio.
“Oggi il talento non basta più, molti campioni ricorrono all’aiuto psicologico per analizzare e bloccare in anticipo i meccanismi della mente sottoposta a stress”.
La paura del pre gara, di perdere, ma anche, sembra paradossale, la paura di vincere.
“È la nikefobia, dal greco nike, vittoria (e non dalla griffe sportiva come pensano certi miei allievi). È la paura di andare oltre i propri limiti, la paura edipica di superare il padre, il senso di colpa per un premio che pare troppo elevato ” chiarisce la psicoterapeuta Sabina Sereno, consulente del Coni alla Regione Piemonte e docente di psicologia dello sport a Torino.
“È la fobia che porta molti atleti a restare eterni secondi o a infortunarsi davanti a un evento importante. Un fattore inconscio che si risolve con un lungo lavoro a volte non compatibile con i tempi dello sport”.
Perché i tempi dello sport sono brevissimi e intensi. “È un mondo che estremizza lo stress. E se perdi anche solo una volta sembra che tutto sia perduto. L’unica strada appare l’abbandono, ma niente è più sbagliato. Se uno sportivo fin da piccolo è abituato a perdere, è più facile che da grande vinca”.
“Perché, come dice il Dalai Lama, quando perdi, non perdere la lezione” aggiunge Pietro Trabucchi, psicologo, da vent’anni specializzato nel seguire discipline di resistenza, al fianco della squadra nazionale di triathlon e di fondo. Ha seguito Giorgio Di Centa, oro a Torino 2006. “Ha cominciato a sciare a 5 anni, ma ha dovuto aspettarne 27 per vincere una medaglia olimpica”. Una volta a 30 anni eri finito, “oggi non è più così, basta guardare Alessandra Sensini e Josefa Idem (bronzo pochi giorni fa ai Mondiali di Dartmouth, a 44 anni).
La differenza la fa la mente”.Nel suo ultimo libro, Resisto dunque sono (Corbaccio), spiega il concetto di “resilienza”: “La capacità di persistere nel perseguire gli obiettivi di sfida, fronteggiando le difficolta e gli eventi negativi che si incontrano. Il resiliente è un ottimista, ritiene di saper controllare la propria vita, vede i cambiamenti come una sfida e non come una sfiga“. La resilienza non è come il coraggio di Don Abbondio, chi non ce l’ha se la puo dare e potenziare.
“Aiuto i miei atleti con tecniche di meditazione, simili a quelle delle filosofie orientali.
Per controllare il pensiero, svuotare la mente. Per non temere la fatica, ma senza rimuovere il dolore e la paura, che devono esserci. I grandi alpinisti hanno tutti paura del vuoto”.
E per provare che le sue teorie erano giuste Trabucchi nel 2005 ha scalato l’Everest. Le difficoltà rafforzano la mente, scriveva Seneca, ed è nelle difficolta che si vede un campione. Popolizio ai suoi atleti consiglia di parlare poco con i concorrenti, di non isolarsi con la musica per non avere un impatto energetico troppo forte al momento clou. “Quando si avvicina la gara, bisogna avere una percezione a imbuto. Se a 3 ore dalla prova riesco ancora a ridere, a mezz’ora sto da solo e mi preparo come un proiettile”.E nella preparazione tra uomini e donne c’e una determinante differenza. “Le donne sembrano piu fragili, tuttavia se perdono la concentrazione la recuperano piu facilmente. Gli uomini non riescono a ritrovarla”. Caso eccezionale è Valentino Rossi, “che non credo sia mai stato seguito da uno psicologo” continua Popolizio “ma è caduto e risorto da solo. Vince perché sa perdere. La sua abilità è riuscire a gestire il rischio. Ricordo un suo incredibile sorpasso a un compagno di squadra, quando ormai aveva la gara in tasca. È come se gareggiasse contro se stesso. Lui rischia sempre. E non tutti gli atleti sono disposti a rischiare”.
La paura del dolore, della fatica e una delle prime cause di blocco. “Per batterla creiamo ai campioni scenari ipotetici, mettendoli davanti alle gare che piu temono” racconta Elena Meccariello, psicologa all’Istituto di medicina dello sport del Coni. Ha seguito la tennista Roberta Vinci, i tuffatori Nicola e Tommaso Marconi, ha valutato tutti gli atleti olimpici, da Valentina Vezzali ad Aldo Montano. “Oggi si vince con la testa, lasciando poco al caso. Lo psicologo ti aiuta a vivere nella mente il momento della gara, con tecniche di immaginazione: se il tuffo dura pochi secondi, l’atleta lo deve immaginare in continuazione e la ripetizione mentale deve essere costante. Se il tuffo sarà perfetto nella mente, il corpo lo eseguira perfettamente anche nella realtà”.
Riferisce che Vinci, molte volte avversaria di Pennetta (anche lei seguita da uno psicologo a Barcellona, lo stesso della collega Conchita Martinez), “aveva un blocco in partenza, non pensava di poter raggiungere quei risultati. Se non credi in te stesso, l’avversario ti battera sempre. Come nella vita“. Racconta la dottoressa Sereno che nell’ambiente circola una battuta: “La differenza tra un campione e un altro e solo di 20 centimetri. La misura del cervello.
"Per vincere la paura di vincere, i campioni si allenano sul lettino", tratto in data 27-08-2009 da Obiettivo Psicologia. Formazione, lavoro e aggiornamento per psicologi
http://www.opsonline.it/index.php?m=show&id=18680

 


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