In psicoterapia la tecnica, etichettare un disturbo, non aiuta una persona, perché le persone non sono macchine, e non vanno immatricolate. Nemmeno la relazione da sola è sufficiente. Ci sono casi in cui l’utilizzo eccessivo di tecnica o pensare la terapia come tecnica crea una rassicurante distanza. Se si ha un dolore, è più rassicurante un guerriero armato sino ai denti o una persona che è li per te? Il guerriero non tocca con mani nude. A volte questo è rassicurante per chi vive dolore e spesso si può scegliere chi ci permette di fuggire dal dolore. In questo senso, l’eccesso di tecnica e regole non consente una vicinanza sufficiente per la persona, affinché possa lavorare sul suo dolore. Il rispetto di tutto questo è terapeutico, nella cornice della storia affettiva della persona che si ha davanti. Per come intendo la psicoterapia, per me lo diventa quando cessa di spiegare e vira verso la comprensione e il sentire. Se si ha la sensazione di essere perturbati, allora sta davvero funzionando. Così, alcune persone hanno bisogno di vicinanza per poter sentire, perché a volte le gambe non reggono un dolore e si ha bisogno di potersi poggiare su una spalla per poter piangere e recuperare forze, altre di distanze, forse perché non è il momento, forse perché è utile a sentire la solitudine, forse perché la paura chiede di essere distanti da dolori lontani, dietro una cornice che è la comprensione profonda da parte del terapeuta di cosa può far soffrire quella persona e la sintonizzazione su un tempo interiore che si può sentire e non vedere scorrere sulle lancette dell’orologio. Cambiamo in continuazione, e siamo diversi da quelli che eravamo 10 minuti fa, e il gioco terapeutico in questo senso, e per ciò che sino ad ora e la mia giovane età mi consentono di capire, è la regolazione efficace di distanza e vicinanza e tutto ciò che ruota attorno in un’ottica terapeutica. Ciò che cura è l’utilizzo sinergico e creativo della relazione, la co-costruzione di un significato alla propria storia, ma non basta perché è molto di più, sapere di poterla usare, sentirne la fruibilità e non la regola o il diploma appeso in tecniche di rilassamento, o sul primo sito psico-market, perché ogni relazione terapeutica è diversa da un’altra, ed è unica, irripetibile, esperienza che trasforma. E un terapeuta sa, che il migliore esperto per la comprensione di se stesso, è la persona stessa. E se è arrabbiata per esempio il suo compito è aiutarlo/a a dare un senso coerente con la sua storia. I diplomi, la spiegazione delle tecniche ecc… sono discorsi a volte noiosi e snervanti tra terapeuti. Ognuno dice la sua. Ma nell’interesse di chi chiede aiuto, nella psicoterapia cercate azione, il momento, il sentire, la sintonizzazione, l’empatia, il riconoscimento, l’accoglienza, la gentilezza e l’autenticità. E se si ha la sensazione di non essere capiti, mai metterlo in dubbio, e se la rabbia, il dolore, la delusione non si sono sciolti, significa che non si è fatto abbastanza. Solo allora le distanze saranno veri spazi di cambiamento, e un terapeuta che funziona poggia i libri, i diplomi, i “bisturi” e usa se stesso e tutto il concentrato nelle sue parole della sua esperienza di crescita, perché in fondo, il cambiamento non è che scoprire di avere strumenti che per tanto tempo non si sono considerati e sono rimasti sepolti. E se si sta male, significa che li si sta cercando … Non può esserci bellezza più grande nel ritrovarli.
Antonio Dessì
Magazine Coppia
In psicoterapia la tecnica, etichettare un disturbo, non aiuta una persona, perché le persone non sono macchine, e non vanno immatricolate. Nemmeno la relazione da sola è sufficiente. Ci sono casi in cui l’utilizzo eccessivo di tecnica o pensare la terapia come tecnica crea una rassicurante distanza. Se si ha un dolore, è più rassicurante un guerriero armato sino ai denti o una persona che è li per te? Il guerriero non tocca con mani nude. A volte questo è rassicurante per chi vive dolore e spesso si può scegliere chi ci permette di fuggire dal dolore. In questo senso, l’eccesso di tecnica e regole non consente una vicinanza sufficiente per la persona, affinché possa lavorare sul suo dolore. Il rispetto di tutto questo è terapeutico, nella cornice della storia affettiva della persona che si ha davanti. Per come intendo la psicoterapia, per me lo diventa quando cessa di spiegare e vira verso la comprensione e il sentire. Se si ha la sensazione di essere perturbati, allora sta davvero funzionando. Così, alcune persone hanno bisogno di vicinanza per poter sentire, perché a volte le gambe non reggono un dolore e si ha bisogno di potersi poggiare su una spalla per poter piangere e recuperare forze, altre di distanze, forse perché non è il momento, forse perché è utile a sentire la solitudine, forse perché la paura chiede di essere distanti da dolori lontani, dietro una cornice che è la comprensione profonda da parte del terapeuta di cosa può far soffrire quella persona e la sintonizzazione su un tempo interiore che si può sentire e non vedere scorrere sulle lancette dell’orologio. Cambiamo in continuazione, e siamo diversi da quelli che eravamo 10 minuti fa, e il gioco terapeutico in questo senso, e per ciò che sino ad ora e la mia giovane età mi consentono di capire, è la regolazione efficace di distanza e vicinanza e tutto ciò che ruota attorno in un’ottica terapeutica. Ciò che cura è l’utilizzo sinergico e creativo della relazione, la co-costruzione di un significato alla propria storia, ma non basta perché è molto di più, sapere di poterla usare, sentirne la fruibilità e non la regola o il diploma appeso in tecniche di rilassamento, o sul primo sito psico-market, perché ogni relazione terapeutica è diversa da un’altra, ed è unica, irripetibile, esperienza che trasforma. E un terapeuta sa, che il migliore esperto per la comprensione di se stesso, è la persona stessa. E se è arrabbiata per esempio il suo compito è aiutarlo/a a dare un senso coerente con la sua storia. I diplomi, la spiegazione delle tecniche ecc… sono discorsi a volte noiosi e snervanti tra terapeuti. Ognuno dice la sua. Ma nell’interesse di chi chiede aiuto, nella psicoterapia cercate azione, il momento, il sentire, la sintonizzazione, l’empatia, il riconoscimento, l’accoglienza, la gentilezza e l’autenticità. E se si ha la sensazione di non essere capiti, mai metterlo in dubbio, e se la rabbia, il dolore, la delusione non si sono sciolti, significa che non si è fatto abbastanza. Solo allora le distanze saranno veri spazi di cambiamento, e un terapeuta che funziona poggia i libri, i diplomi, i “bisturi” e usa se stesso e tutto il concentrato nelle sue parole della sua esperienza di crescita, perché in fondo, il cambiamento non è che scoprire di avere strumenti che per tanto tempo non si sono considerati e sono rimasti sepolti. E se si sta male, significa che li si sta cercando … Non può esserci bellezza più grande nel ritrovarli.
Antonio Dessì
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