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Psychiatric help 5 cent

Da Miwako
PSYCHIATRIC HELP 5 CENTNon lo so se quello che sto per scrivere vedrà mai la luce. Non ne capisco nemmeno il motivo, visto che a passare di qui saranno una ventina di persone il cui interesse per ciò che scrivo è variabile se non addirittura discutibile.Come non capisco perché come motivazione alla mia riluttanza, come prima cosa, mi riferisco a qualcosa di esterno a me, ovvero agli altri, a chi leggerà.Curioso.E' che ci ho riflettuto molto ultimamente.A tutte quelle cose automatizzate che facciamo ogni giorno; a quella miriade di stati d'animo cui siamo così abituati da reputarli comuni, comuni a tutti.Le cose, in realtà, stanno diversamente.L'abitudine legittima anche il più improbabile degli equilibri.E questo vale per ogni cosa. Ogni singola, microscopica, fottutissima cosa.
Sto leggendo un libro trovato in un mercatino. Si chiama "il grande fumatore". Ci sono spezzoni di interviste a fumatori di diverso "tipo", scritti freudiani che mostrano il poco elegante glissaggio autoindulgente che il paparino della psicanalisi operava sul suo stesso vizietto, estratti di interviste a bambini di dieci anni in cui si chiede loro perché i grandi fumano. Un sacco di cose interessanti insomma. Tra cui la valenza simbolica della sigaretta.Bene.Bene un cazzo.Non che non mi fossi mai resa conto della cosa, ma scavando un po' più a fondo ho scoperto una notevole quantità di dettagli inquietanti.Su di me.Esempio: E' un giorno a caso, diciamo che sono le 7.20. Mi accorgo che mi è rimasto poco tabacco, quindi, cosa faccio? Mi vesto in fretta, esco, vado dal tabaccaio e faccio scorta. Attenzione. Per quante cose sareste disposti a vestirvi ed uscire appositamente perchè fino a domani non se ne può fare a meno? Il cibo, quindi un bisogno primario (nota consumistica a margine che eviterò. Quasi chiunque avrebbe qualcosa da mettere sotto i denti in dispensa, ma lasciamo perdere). Un mal di testa lancinante, quindi il dolore. Le sigarette. Le sigarette?Ora, questa decisione non è innescata da un bisogno reale e immediato, ma dalla previsione di questo bisogno. Nemmeno; dall'eventualità che questo bisogno si presenti. E non è una cosa tanto normale anche se comune.E' bizzarro accorgersi delle cose in cui cerchiamo sicurezza. Dev'essere un atteggiamento che cela/svela il ruolo della sigaretta nelle mie giornate. Per me, non esiste il "fumo fino a che ne ho, poi si vedrà". Certo, fumando tabacco,  i distributori automatici non mi possono aiutare, perciò mi devo organizzare per tempo ( anche l'esistenza di distributori automatici di sigarette ha dell'inquietante vista da questa prospettiva. Sigarette, non cibo, acqua, preservativi, toh), ma io (come praticamente chiunque) so che fisicamente, potrei tranquillamente non fumare fino al giorno dopo. Invece, non posso neanche pensare di rimanere in casa, o in giro, insomma, SVEGLIA, senza tabacco.E' abberrante che la sigaretta rivesta un ruolo così importante nella mia vita; soprattutto considerando il fatto che non ci faccio nemmeno caso a quanto fumo. E forse nemmeno a quando.Abberrante quanto irrilevante, visto che in linea di massima non considero il mio vizio un problema ma qualcosa che mi piace. Volendo, si potrebbe anche approfondire e distinguere tra sigarette "necessarie" e sigarette superflue, ammesso e non concesso che si possa operare questa discriminazione come aggravante o attenuante di una determinata sigaretta.Nemmeno ai minimi storici della mia ingenuità sono arrivata a pensare che la sigaretta non avesse alcun'altra valenza per me, che non stesse a simboleggiare qualcosa in più di ciò che è, intesa come mero oggetto. E, in tutta sincerità, fosse tutto lì, mi starebbe anche bene. Tanto si sa che gli esseri umani hanno bisogno di trovare qualcosa che funga da decompressore, da valvola di sfogo surrogata per fare pace con le piccole frustrazioni quotidiane; che sia il cibo, la birretta davanti alla tv, lo shopping compulsivo, l'onicofagia o l'attività fisica, poco importa. Certo, a seconda di ciò su cui ricade la scelta (che non è mai casuale), gli effetti sono diversi, talvolta agli antipodi, ma al di là dei giudizi obiettivi che vi si possono attribuire, resta il fatto che ognuna di queste "cose" viene utilizzata come l'ago di una bilancia, viene caricata di un'ulteriore valenza rispetto a quella che avrebbe per sua naturale funzionalità (il cibo per nutrirsi, la corsa per tenersi in forma, la sigaretta per ... per? ).E fosse tutto qui, dicevo, mi starebbe anche bene, ne sono consapevole ed ho "scelto" il mio personale ago della bilancia.Quello che mi preoccupa è che, inevitabilmente, non si deve più fare i conti solamente con l'abuso o l'assenza di qualcosa che ci dà piacere, ma anche con tutto ciò cui, nel tempo, abbiamo collegato quella determinata cosa. Situazioni, stati d'animo, persone, occasioni.Sarà difficile smettere di concedersi un dolcetto dopo cena, come lo sarà non sentire l'esigenza di fumare dopo il caffè, o la tentazione di spendere soldi in cazzate inutili solo perché sono a portata di mano e di portafoglio. E non lo sarà a causa del bisogno effettivo che abbiamo di avere/fare quelle cose, ma di ciò che ci danno a livello emotivo.Dicesi anche, teoria della compensazione.Il mancato o insufficiente appagamento in qualsivoglia ambito della vita, viene soddisfatto con elementi esterni, oggetti inanimati, cose che, non assolvendo mai completamente il bisogno per cui sono desiderati (e come potrebbero?), continuiamo a ricercare incessantemente. E' fin troppo facile.In questo modo, ci avvaliamo di una distrazione, di una compensazione che, seppur in un ambito più terreno a facilmente raggiungibile, riesce a illuderci per un po' con un appagamento momentaneo. Dopo una giornata storta, è quasi imbarazzante la raggiera di opzioni surrogate con cui ci si può sbizzarrire. Come lo è rendersi conto di quanto effimero, vuoto e spesso dannoso possa essere tutto questo.
Eppure, anche dopo queste considerazioni, non voglio smettere di fumare. Possibile che tanto del mio equilibrio mentale dipenda da quegli stupidi bastoncini di cancro? Possibile che non senta il più debole senso di colpa, la benchè minima traccia di volontà di smettere?No, mi verrebbe da dire. E invece si. Niente si è smosso, in questo senso. E semmai sarò una persona pienamente soddisfatta (utopia), è molto più probabile che sposti inconsciamente la levetta delle valenze simboliche su altro, piuttosto che io smetta di fumare. 
Ma io, poi, mica volevo parlare di questo. Avrei voluto dire altro.Altro che non sto qui a dire, altro che non mi sento ancora di scrivere.So esattamente ciò che avrei voluto tirar fuori. Ma se ne sta lì, incastrato in gola come un tocco di pane secco, coperto da un velo di pudore insensato, di vergogna quasi. Ed è stupido, se ci penso. Ho fatto confessioni ben peggiori in questo posto. Ho cose ben peggiori dentro di me. Questa cosa qui, se proprio deve, non affligge altri che me, anche qualora decidessi di rivelarla.
A volte mi viene il dubbio che forse dovrei smetterla di fare queste pseudoautoanalisi spicciole da psicologa della mutua (della mutua per modo di dire, ovviamente. Non ho niente contro lo psicologo della mutua, anzi, siano santificati gli psicologi della mutua).Si.Dovrei smetterla e andare da uno vero.

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