Nel lontano 2002 però pubblicava l'articolo che parla della tecnica "inventata" dal professore pubblicizzato stamattina da RAI 1Numero: 3 - 2002 - [email protected] La termoablazione con radiofrequenze dell'epatocarcinoma
Stefano Gaiani,
Natascia Celli, Fabio Piscaglia, Laura Cecilioni, Gabriele Donati, Luigi Bolondi
IntroduzioneI tumori maligni del fegato, primitivi e secondari, rappresentano un tema di notevole rilevanza clinica ed epidemiologica. A partire dalla seconda metà degli anni ottanta, le conoscenze sulla storia naturale e sulla stadiazione di queste neoplasie sono notevolmente progredite e sono state proposte numerose opzioni terapeutiche in alternativa alla terapia chirurgica, nei casi in cui questa sia controindicata o presenti un rischio elevato. Fra queste, hanno suscitato recentemente un notevole interesse le tecniche di termoablazione percutanea, che soprattutto con l'impiego delle radiofrequenze costituiscono un'alternativa all'alcolizzazione percutanea. L'epatocarcinoma (HCC) è al quinto posto fra le principali neoplasie nel mondo e ha registrato un sensibile aumento negli ultimi anni, in relazione in particolare alla diffusione dell'infezione da virus dell'epatite C. Nel 1990 sono stati stimati 437.000 nuovi casi nel mondo[1], mentre in Italia l'incidenza è stimata in circa 12.000 nuovi casi all'anno. L'epatite cronica e la cirrosi sono considerate condizioni predisponenti. Dal punto di vista evolutivo, l'HCC presenta un ritmo di crescita estremamente variabile[2] e la prognosi risulta influenzata in maniera significativa dalla malattia epatica sottostante[3].
Riguardo la terapia, la resezione chirurgica è considerata di prima scelta in caso di tumore singolo di piccole e medie dimensioni in pazienti con buona funzionalità epatica e senza ipertensione portale[4],
pur essendo associata a una elevata incidenza di recidive, pari all'83-100% a 5 anni[5, 6, 7]. Il trapianto di fegato fornisce eccellenti risultati in termini di sopravvivenza e di assenza di recidive in pazienti selezionati[8]. Tuttavia, la limitata disponibilità di donatori e la progressione della malattia in molti pazienti con HCC mentre sono in lista d'attesa, riducono l'efficacia di questa scelta terapeutica[9]. Nella pratica clinica, soltanto il 10-25% dei pazienti con HCC possono giovarsi di una terapia radicale.
L'impiego della termoablazione nel trattamento dei tumori epatici sfrutta l'effetto necrotizzante esercitato dal calore sui tessuti biologici. E' noto, infatti, che temperature di 43-45 °C producono un danno reversibile degli enzimi cellulari che diviene irreversibile per tempi di esposizione superiori ai 25 minuti[10] L'entità della lesione è tanto più evidente nei tessuti ad alto grado di proliferazione come i tumori. Temperature superiori ai 60 °C determinano in pochi minuti una necrosi coagulativa dei tessuti, mentre a temperature superiori a 100 °C si verificano rapidamente fenomeni di evaporazione e successiva carbonizzazione. L'ipertermia della lesione tumorale può essere indotta mediante diverse fonti di energia, quali le onde a radiofrequenza, le microonde e il laser. Queste tecniche prevedono l'introduzione di un ago elettrodo o di una fibra laser all'interno della neoplasia per indurre l'effetto termico. In un circuito elementare monopolare, l'elettrodo attivo è costituito dall'estremità dell'ago posto all'interno della lesione epatica, mentre l'elettrodo dispersivo è costituito da una piastra posta sulla superficie cutanea della coscia. L'elettrodo, cioè la punta esposta dell'ago, determina il passaggio di una corrente alternata al tessuto circostante con agitazione degli ioni e conseguente riscaldamento resistivo del tessuto. Con questa tecnica si utilizzano solitamente aghi di 1,2 millimetri di calibro. Le microonde hanno un meccanismo d'azione analogo a quelle delle onde a RF, determinando un riscaldamento del tessuto attraverso la polarizzazione delle molecole conseguente al passaggio di onde elettromagnetiche ad alta frequenza (2.450 MHz). Esse sono state utilizzate in alcuni studi preliminari con risultati promettenti[11, 12] anche se necessitano dell'impiego di aghi di calibro maggiore (14 G, pari a 1,6 mm). Il laser è una sorgente che produce un fascio monocromatico, collimato e coerente di radiazioni elettromagnetiche, in grado di trasmettere elevate quantità di energia in maniera estremamente precisa e focalizzata. La fonte di energia laser maggiormente utilizzata in ambito medico è in Nd-YAG laser, che emette un fascio di fotoni con lunghezza d'onda di 1.064 nm. L'energia dei fotoni viene assorbita dal tessuto epatico sotto forma di energia termica. Il fascio laser viene condotto all'interno della lesione mediante una o più fibre ottiche di 0,2-0,6 millimetri di calibro, inserite in aghi sottili tipo Chiba. L'area di necrosi determinata da ogni singola fibra è, tuttavia, abbastanza limitata[13] e la distruzione di una lesione di 3 cm richiede l'introduzione contemporanea di più fibre (di solito 4) utilizzando un
beam-splitter, che permette di suddividere l'energia del fascio laser in 4 fibre ottiche[14]. Un'importante limitazione comune a tutte le tecniche di termoablazione è rappresentata dalla ridotta estensione dell'area di necrosi coagulativa che si ottiene con una singola sessione di trattamento. Infatti, utilizzando un ago-elettrodo RF convenzionale di 1 mm di calibro, si ottiene una necrosi con un diametro di circa 1,6 cm[15, 16].
Studi condotti su tessuto epatico e muscolare, hanno identificato i fattori che influenzano l'estensione dell'area di necrosi, che risulta correlata al diametro dell'ago-elettrodo, alla lunghezza della punta esposta e alla durata dell'applicazione dell'energia termica e, in ultima analisi, alla temperatura media locale ottenuta durante la procedura[17]. Una necrosi ottimale viene ottenuta con temperature fra i 70 e i 95 °C, mentre per temperature superiori ai 100 °C si verificano fenomeni di carbonizzazione del tessuto, che comportano un aumento eccessivo dell'impedenza tessutale, limitando conseguentemente la trasmissione di energia termica e l'area di necrosi. Un altro fattore che
influenza l'estensione della necrosi è costituito dai fenomeni di convezione tessutale in relazione alla dispersione del calore operata dal flusso sanguigno nei tessuti tumorali e peritumorali[18, 19]. Per aumentare l'area di necrosi, sono stati sperimentati diversi accorgimenti tecnici, alcuni dei quali rivolti ad aumentare la superficie radiante, come l'infissione di elettrodi multipli[20], l'impiego di due elettrodi con tecnica bipolare, che ha peraltro lo svantaggio di determinare una necrosi di forma ellittica, scarsamente corrispondente alla reale forma rotondeggiante del tumore[21], l'impiego di aghi provvisti di uncini che fuoriescono dalla punta dell'ago all'interno del tumore[22], o l'impiego di elettrodi con tre aghi coassiali (
cluster) distanziati di 5 mm uno dall'altro[23]. La conducibilità elettrica e termica del tessuto tumorale può essere aumentata mediante l'infusione di soluzione fisiologica all'interno del tumore durante il trattamento. Questa procedura si è dimostrata in grado di produrre sperimentalmente lesioni superiori a 5,5 cm[24], tuttavia presenta lo svantaggio di determinare un focolaio di necrosi di forma irregolare e di estensione difficile da prevedere[25]. Per prevenire i fenomeni di carbonizzazione e il conseguente aumento dell'impedenza tessutale, è stata proposta l'applicazione di corrente RF pulsata, che aumenta la dismissione di energia termica nel tessuto attorno all'elettrodo mediante brevi periodi di dissipazione del calore[26]. Un'importante innovazione in questo ambito è rappresentata dall'impiego di aghi provvisti di un sistema di raffreddamento con soluzione fisiologica a 0 °C, che scorre in canalicoli coassiali interni all'elettrodo stesso[27, 28]. Al fine di limitare la dispersione di calore determinata dal flusso ematico tumorale e peritumorale, è stata proposta l'associazione della termoablazione con l'occlusione del flusso arterioso con catetere a palloncino o con l'embolizzazione dell'arteria segmentaria[29].
Modalità d'esecuzione
Fra le tecniche di termoablazione, la più utilizzata è quella che impiega le radiofrequenze come sorgente di energia termica, per una serie di vantaggi operativi riconducibili essenzialmente alla possibilità di trattare efficacemente una lesione tumorale mediante l'infissione di un singolo ago. La procedura di termoablazione con radiofrequenze viene eseguita, solitamente, introducendo l'ago-elettrodo per via percutanea sotto guida ecografica, che è la modalità più semplice ed economica (figura 1).
Figura 1. Il trattamento di termoablazione con radiofrequenze viene eseguita introducendo l'ago-elettrodo per via percutanea sotto guida ecografica. (back)