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Putin: tutte le morti sospette

Creato il 07 marzo 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

La morte di Boris Nemtsov, uno dei decessi sospetti dell’ “Era Putin”.

Il 27 marzo viene ucciso con quattro colpi di pistola Boris Nemtsov, l’oppositore dichiarato di Vladimir Putin ed ex politico d’annata. Il luogo dell’omicidio diviene meta di pellegrinaggio, anche del Presidente del consiglio Matteo Renzi, e il corpo viene sepolto nel cimitero di Trojekurovskoje. Lo stesso cimitero dove dimora il corpo della giornalista Anna Politkovskaja, uccisa nove anni fa nel palazzo dove abitava.

L’omicidio della donna avvenne il 7 ottobre, giorno in cui Vladimir Putin  all’epoca e attualmente Presidente della Federazione Russa  compie gli anni. Una coincidenza questa a lungo ricorrente fra media di tutto il mondo. Ai funerali del 10 ottobre del 2006 partecipò anche il leader dei radicali e amico della reporter Marco Pannella, ma nessun rappresentante delle istituzioni e del governo russo ne fece parte. Ne tantomeno Putin. L’omicidio di Anna Politkovskajya non ha trovato in questi anni soluzione chiara, e probabilmente lo stesso avverrà con Boris Nemtsov, assassinato in pieno centro, a pochi passi dal Cremlino.

Una dichiarazione del Cremlino: “L’omicidio di Nemtsov è una provocazione per destabilizzare la situazione politica del paese“, così simile a quelle di Putin del 2006: “La morte della Politkovskaja danneggia il Cremlino più che i suoi articoli di denuncia al potere“, donano ai due eventi una sorta di macabra ciclicità. Un ruolo da pagine di un libro nero di cui fanno parte diverse morti sospette negli anni dell’era Putin, intesa dal 1999, anno in cui per la prima volta venne nominato Primo ministro della Federazione Russa dal Presidente Boris Eltsin, ad oggi.

Era Putin: l’omicidio Anna Politkovskaja.

Anna Stepanovna Politkovskaja nasce a New York da genitori diplomatici il 30 agosto del 1958. Viene ammazzata con 4 colpi di pistola, il primo alla testa, a Mosca il 6 ottobre del 2006 a 48 anni. Giornalista del periodico russo Novoja Gazeta, Politkovskaja aveva scritto diversi pezzi di denuncia e di accusa di diversi soprusi delle autorità e dell’esercito russo, in Russia, come nelle operazioni in Cecenia. La reporter aveva denunciato diverse violazioni di diritti umani e civili e dello stato di diritto. Il suo lavoro le fece vincere il  Global award di Amnesty International per il giornalismo in difesa dei diritti umani nel 2001 e il premio dell’Osce per il giornalismo e la democrazia. La giornalista accettò nel 2002 il ruolo di negoziatrice durante i giorni dell’assedio di separatisti ceceni al teatro Dubrovka di Mosca.

Nel 2004 subì un tentato avvelenamento mentre era in volo per Beslan nell’Ossenzia del Nord, durante il sequestro da parte di fondamentalisti islamici e separatisti ceceni di una scuola della città. Fu una strage: 333 persone, 186 persone e 600 feriti.
Negli anni, il nome di Anna Politkovskaja, di ispirazione liberale, venne accostato al movimento di piena opposizione agli atti e alle politiche del Presidente Putin, risultando alquanto scomoda oltre che al Presidente della Federazione Russa, a tutto il Cremlino.

Il 9 giungo del 2014 si conclude il terzo processo per l’omicidio di Anna Politkovskaja, vengono condannati all’ergastolo i presunti esecutori ceceni Rustam Makhmudov e suo zio Lom-Ali Gaitukayev. Altri due complici, per aver pedinato la vittima e avvertito il killer del suo arrivo, subiscono una condanna  di  14 e 12 anni di reclusione. Vent’anni a Serghiei Khadzhikurbanov ex poliziotto di Mosca anch’esso complice. Nel primo processo del 2012 arrivò la prima condanna a un altro ex agente della polizia: Dmitrij Pavljuchenkov, organizzatore del pedinamento.

Per quanto riguarda i reali mandanti però, non viene deciso nulla, e ancora oggi rimangono ombre sulla loro natura. Sussistono vari appelli nel mondo politico e giornalistico per scovare i veri mandanti dell’omicidio della giornalista russa. Nella sentenza ufficiale del 2014 si parla in questa maniera di tale colpevole: “… una persona non identificata alla quale hanno dato fastidio gli articoli di denuncia della Politkovskaja“.

Era Putin: il caso internazionale di Aleksandr Litvinenko.

Un mese dopo l’omicidio di Anna Politkovskaja, un altro caso riempì le pagine dei giornali di tutto il mondo, più per il suo fascino da spy story che per il contenuto, in qualche modo collegati alla stessa reporter uccisa. Aleksandr Litvinenko, ex agente segreto del Kgb, aveva passato gli ultimi anni della sua vita da dissidente, scrivendo diversi articoli dichiarati sovversivi dalla nomenclatura russa. Questo portò Litvnenko ad auto-esiliarsi, nel 2000, a Londra, dove trovò asilo e ottenne lo status di rifugiato politico. Fino al 23 novembre del 2006, quando morì a causa di un avvelenamento da plutonio in circostanze ancora non del tutto chiare. Litvinenko divenne famoso in Italia sopratutto per la questione dell’accusa rivolta a Romani Prodi di essere “un uomo del Kgb”.

Putin

Tomba di Aleksandr Litvinenko a Highate, Londra.
Photo credit: gianni / Foter / CC BY-ND

Dichiarazioni, smentite su smentite, interventi al Parlamento europeo, denunce di interviste ritoccate e molto altro non fecero risalire mai la veridicità, le intenzioni reali (se mai esistite) di tali parole dell’ex spia russa. Un faccendiere e consulente dell’intelligence italiana, Mario Scaramella, mangiò in un ristorante giapponese con Litvinenko il giorno in cui si pensa sia stato avvelenato, ma non è stato possibile ricondurre in maniera certa l’avvelenamento a cause di sabotaggi alimentari.La giornalista Anna Politkovskaja rientra in questa storia, precisamente nel pranzo Scaramella con Litivienko. Si dice infatti che i due si scambiarono alcune informazioni sulla reporter e riguardo operazioni dei servizi segreti in Russia, in Italia e in Europa.

Il rapporto conflittuale fra Litvinenko e lo zar Putin si compose negli anni di diversi tasselli dal mastodontico peso, tra i quali un libro edito nel 2002 e finanziato dal milionario anti-sistema (di cui divenne anni prima amico di alcune guardie personali e poi stretto confidente), morto l’anno scorso, Boris Berezovsky. L’ex kgb accusava il Fsb (nome dei servizi segreti dopo la caduta dell’Urss) di aver causato gli attentati in Russia tra l’agosto e il dicembre del 1999, per poi imputarli a separatisti ceceni, attirare consenso e incominciare nuovamente con le operazioni militari in Cecenia. In un secondo libro, Litvinenko accusò direttamente Putin, all’epoca appena divenuto primo ministro, di essere il mandate degli attentati. Il rapporto con Putin si inclinò  già un anno prima, nel 1998. In quei mesi lo “zar”, in quanto direttore del Fsb e dunque superiore dello stesso Litvinenkno, lo espulse. La cacciata fu dovuta a una conferenza stampa in cui il futuro dissidente accusò alcuni superiori dei servizi segreti di aver organizzato un piano per uccidere l’oligarca Boris Berezovsky. “Un agente dell’FSB non dovrebbe tenere conferenze stampa, non è il suo lavoro, e non dovrebbe rendere pubblici degli scandali interni” dichiarò Putin..

Negli anni a Londra, Marina, moglie di Litvinenko, disse che il russo divenne collaboratore dei servizi segreti britannici, tesi sostenuta anche da alcuni media prima della morte di Litvinenko, e urlata nei giorni a seguire. Nei giorni del ricovero per avvelenamento e poco prima di morire, Litivinenko acconsentì a farsi fotografare, totalmente glabro e notevolmente provato. La foto fece il giro del mondo. Morì il 23 novembre e lasciò una lettera, poi diffusa dalla famiglia, un vero e proprio testamento contro Vladimir Putin, secondo Litivienko, mandante del suo avvelenamento.

Uno dei principali sospettati  per l’omicidio di Aleksander Litivinenko è Andrei Lugovoi, con un passato nei servizi segreti russi e ora deputato. La Russia respinse  la richiesta di una sua estradizione nel 2007, fu noto il caso diplomatico delle varie espulsioni, a Mosca e a Londra, nelle ambasciate britanniche e russe, dei rispettivi diplomatici. Il 27 gennaio del 2015, dopo una estenuante battaglia giudiziaria portata avanti dalla vedova Litivienko, è iniziata in Gran Bretagna un’inchiesta pubblica, col fine di chiarire o meno responsabilità del Cremlino. Nonostante ciò, appaiono remote le possibilità del raggiungimento della piena verità sulla vicenda.

Il 3 luglio 2003 Yuri Schekochihin, noto deputato della Duma, giornalista investigativo di Novaja Gazeta e collega di Anna Politkovskaja, finì in ospedale colpito da una malattia dai risvolti oscuri. Morì sedici giorni dopo. Quando tre anni dopo morì Litivinenko, emersero le similitudine fra i sintomi e le cause di morte per via dell’avvelenamento da plutonio. Tre mesi prima, nell’aprile del 2003, venne assassinato anche Sergei Yushenkov, poco dopo aver registrato il suo partito politico con cui voleva correre alle elezioni parlamentari di dicembre. Noto per le sue idee liberali, sul piano politico, economico, lottò per una democrazia più trasparente e per il rafforzamento dei deboli diritti civili.

Era Putin: l’uccisione dell’attivista per i diritti umani Natalja Estemirova.

Il 15 marzo 2009 viene trovata morta Natalja Estemirova, nota attivista che lavorava nella regione del Caucaso del Nord e molto vicina, sopratutto negli ultimi mesi della sua attività, all’organizzazione Amnesty International.

I lavori di Natalia Estemirova permisero la documentazione di violazioni dei diritti umani nella regione da lei curata: torture, maltrattamenti, uccisioni illegali, sparizioni ed epurazioni fin dall’inizio della seconda guerra di Cecenia nel 2000. Accuse rivolte soprautto a Ramzan Kadyrov, politico ceceno e attuale presidente della squadra di calcio della capitale, il Terek Grozny, nonché fedele alleato di Putin.

Negli ultimi mesi prima della morte si era impegnata nell’assistenza a sfollati e ceceni tartassati dal conflitto. La sua attività è stata apprezzata sia a livello nazionale che internazionale attraverso il conferimento di numerosi e importanti riconoscimenti. Nel 2004 riceve il premio Right Livelihood, il cosiddetto Nobel alternativo assegnato dal parlamento svedese, l’anno successivo la Medaglia Robert Schuman del parlamento europeo.

Nel 2007 il suo destino si intreccia ineluttabilmente con Anna Politkovskaya. Vince in quell’anno il primo premio dedicata alla giornalista uccisa. Due anni dopo le toccherà la stessa sorte.

Natalia Estemirova viene rapita a Gozny città dove viveva e lavorava, la mattina del 15 marzo alle ore 8.30. Viene trascinata in una macchina bianca e portata in un luogo sconosciuto. Secondo alcune testimonianze, la donna sarebbe riuscita a gridare di essere stata rapita poco prima di essere chiuse dentro l’auto. Nel tardo pomeriggio dello stesso giorno, il corpo afflitto da diversi colpi d’arma da fuoco viene ritrovato nella vicina repubblica di Inguscezia. Nessuno rivendicherà l’omicidio.

Amnesty commentò così in quelle ore: “L‘omicidio. L’assassinio di Natalia Estemirova mette ancora una volta in luce le precarie circostanze in cui i difensori dei diritti umani agiscono all’interno della Federazione russa. La sua uccisione segue quelle, avvenute all’inizio di quest’anno, dell’avvocato per i diritti umani Stanislav Markelov e della giornalista Anastasia Baburova, entrambi amici stretti e colleghi di Anna Politkovskaya, a sua volta assassinata nel 2006“.

Novaya Gazeta, giornale dove scriveva Anna Politkvoskaja sta conducendo un’indagine alternativa a quella ufficiale, cercando di provare l’infondatezza della versione secondo la quale sarebbe stato un militante ceceno, Alkhazur Bashaev, a uccidere la donna.

Tags:Anna Politokovskaja,Beslan,Cecenia,Dissidenti,giornalismo,Nemtsov,putin,russia,vladimir putin

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