È che all’artista interessa più essere apprezzato che essere capito? Se si accetta che egli non debba porsi il problema di cosa voglia dire ciò che crea, anzi non debba neanche porsi il problema di capire cosa esattamente abbia intenzione di fargli dire, questo non è affatto grave: l’importante è che la sua creazione trovi apprezzamento, poco importa che sia tanto ambigua da trovarlo presso chi la legge in un modo e presso chi la legge in modo opposto – anzi, tanto più ambigua, tanto meglio – perché l’unico modo sbagliato di leggerla sarà quella che non le farà trovare apprezzamento, unico caso, questo, in cui l’artista potrà lamentare un fraintendimento. Ma a questo punto mi auguro che il lettore abbia colto l’ironia nell’uso del termine artista, mentre mi auguro che l’artista non l’abbia colta, perché questo di bello ha l’ironia: mette d’accordo chi capisce e chi fraintende.
Forse, però, è meglio ricorrere a un esempio.
Qual è il messaggio che vi pare trasmetta questo corto? Una «esplosiva verità», cioè che l’Italia sia piena di gioventù «improduttiva, cazzeggiona, scioperaiola, protetta, corporativa, e per di più travestita da organismo protestatario minaccioso violento radicale antagonista»? Se l’avete inteso a questo modo, siete d’accordo con Giuliano Ferrara, al quale proprio perciò è piaciuto tanto e dice che «dovrebbe essere premiato, trasmesso nelle scuole, e ritrasmesso in tv a cura della Presidenza del Consiglio, con abbondanti sovvenzioni pubbliche e di Confindustria perché le menti libere che lo hanno concepito e realizzato possano insistere nel filone d’oro della presa per il culo dei miti italiani poveraccisti».
O pensate piuttosto che il corto volesse essere un ironico ribaltamento di quella realtà di fatto che in Italia sta bruciando un’intera generazione tra disoccupazione e precarietà? Vi verrebbe voglia di chiederlo all’autore, vero? Beh, non lo fate, potreste rimanere delusi, e poi l’ho fatto io per voi. Capirete che, col miraggio di abbondanti sovvenzioni dalla Presidenza del Consiglio e dalla Confindustria, l’ironia, se c’era al momento di scrivere la sceneggiatura, ora può anche andare a farsi benedire. E allora, sì, «non è stato accolto come un video che sfotte i bamboccioni, anzi, molti hanno scritto di non sapere se ridere o piangere, lo hanno definito divertente e drammatico, comico e triste», però «potrebbe anche essere vero che certi giovani sono sfaticati e mammomi», e tuttavia «ciò non toglie che lo stato è assente, il lavoro è precario e mal pagato, ecc.». Insomma, «credo che nel mio lavoro Ferrara abbia visto quello che forse già pensava di suo, che non è assolutamente la verità, perché io una verità assoluta non ce l’ho e non credo possa esistere quando si parla di problematiche così complesse. Io stesso, d’altra parte, non mi sono posto il problema di capire cosa stessi cercando di dire, quale fosse il messaggio. L’ironia era solo il mezzo per raccontare qualcosa di vero, qualsiasi cosa sia»
«Qualunque cosa sia»: e poi c’è pure qualche cretino che afferma che i giovani italiani non siano ormai disposti a tutto pur di portare a casa qualche soldo?