Magazine Cultura

Quando congedarsi dallo scritto – Flannery O’Connor

Da Marcofre

Il libro “Nel territorio del diavolo” (ne ho parlato in questo post), c’è anche un’intervista a Flannery O’Connor. A un certo punto, l’intervistatore chiede (sto semplificando), quando congedarsi dallo scritto.
Insomma: perché l’autore spedisce il dattiloscritto? Cosa scatta dentro la testa che gli fa dire: “Ottimo, si stampi”?

Risposta: Boh!

La O’Connor per fortuna non risponde affatto così, ci mancherebbe altro.
Molti credono che uno scrittore quando si dimostra restio a parlare della sua arte, di come riesca a ottenere delle pagine da sogno, pensano che lo faccia solo perché geloso.

In realtà, non ne sa molto di più di quanti pongono quelle domande.

La scrittrice statunitense afferma di avere sviluppato una certa sensibilità nei confronti dello scritto. E, aggiungo io, un’onestà talmente forte da spingerla a rifiutare una storia, anche se ci ha trascorso sopra dei mesi, o anni. Se sento che la mia storia è mediocre, lo è certamente, punto e basta. Ecco una delle tante ragioni per cui si deve leggere, e pure molto.

Alla fine diventa impossibile che Tolstoj, Dickens, Dostoevskji (Carver, O’Connor) non facciano qualche effetto sui nostri gusti letterari. Sulla nostra capacità di giudizio. Se ci si confronta con gli autori classici, la soglia di attenzione, la sensibilità insita in ciascuno diventa sempre più acuta. Quasi d’un tratto, si colgono dettagli e atmosfere che prima nemmeno si notavano.

Infine dice la parolina, che ora trascrivo. Pronti?

Distanza.

È una legge che pochi applicano; ma credo con forza che sia una legge.
Con la rapidità che il Web garantisce, per quale ragione aspettare? Perché abbandonare uno scritto per una settimana, un mese o più, e tornare a leggerlo?

Per vedere l’effetto che fa.

La testa si allontana da quanto ha prodotto e torna a osservare con occhi differenti il suo lavoro. Non sono occhi estranei, vero; eppure hanno la capacità di scovare periodi contorti, ripetizioni. Aggettivi in sovrannumero (e gli aggettivi sono SEMPRE troppi), avverbi che tendono trappoloni stellari (l’evento di Tunguska è stato provocato in realtà da un eccesso di avverbi da parte di scrittori esordienti, non lo sapevi?).

La risposta della O’Connor si conclude con:

(…) quanto di meglio potessi fare tenendo conto dei miei limiti.

Non la perfezione (non esiste), e i propri limiti. Una bella lezione di umiltà.


Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog