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Quando don Calò sparò a Li Causi

Creato il 23 gennaio 2013 da Casarrubea
don Calò Vizzini

don Calò Vizzini

Un documento eccezionale ispirato da Don Calò e attribuito ai suoi sostenitori, in cui, l’avvio della guerra aperta contro i comunisti, è segnato, secondo le fonti dei servizi di intelligence Usa, dall’attacco contro il leader del Pci siciliano, Girolamo Li Causi.  Le truppe di occupazione alleate avevano investito il capo della mafia siciliana dei poteri di rappresentanza di un nuovo partito (destinato naturalmente a fallire): il Pronte democratico per l’ordine siciliano (Fdos). Il documento riproduce fedelmente la versione della mafia sull’assalto contro gli oratori di quel giorno: Li Causi, appunto, e Michele Pantaleone. Come si potrà notare i fatti vengono capovolti e resi paradossali:  autori dell’aggressione sarebbero stati secondo don Calò gli stessi comunisti. Una storia vecchia che si ripeterà anche con altre stragi.

*

Class.: Segreto 1

Destinatario: Earl Brennan, capo del settore italiano del Si (Secret intelligence), Washington.

Mittente: Vincent J. Scamporino, Oss (Palermo)

Fonte: Mister X

Oggetto: La verità sui fatti di Villalba

Data: 2 ottobre 1944

Nota: riportiamo in allegato copia di un opuscolo clandestino (non firmato) pubblicato e distribuito dal cavalier Calogero Vizzini. Il capomafia della provincia di Caltanissetta presenta la sua versione dei noti incidenti accaduti a Villalba, dove una manifestazione della locale sezione del Pci ha provocato uno scontro armato tra militanti comunisti e separatisti.

Vizzini è il principale esponente del movimento separatista filoamericano (a guida mafiosa) conosciuto come Fdos (Fronte democratico per l’ordine siciliano). Una traduzione integrale del documento firmato dal capomafia si trova nel rapporto n. jsp – 965. La versione che presentiamo è identica, ma non riporta la sua firma.

Sono tremila le copie dell’opuscolo stampate e distribuite in tutta la Sicilia.

*

Nel pomeriggio di venerdì 15 settembre si sparse a Villalba la notizia che all’indomani sarebbe stato tenuto in questo comune un grande comizio comunista, il successo del quale avrebbe avuto larga ripercussione nei comuni viciniori.

Nessun particolare allarme destò la notizia per quanto fosse risaputo che il giorno innanzi il Signor Michele Pantaleone, esponente del locale movimento social – comunista, si fosse allontanato da Villalba, diretto a Caltanissetta, per preparare il comizio in parola.2

All’indomani difatti, verso le ore 14, mentre la popolazione era, data l’ora, nelle proprie case, si sentirono eccheggiare a gran fanfara le note di “Bandiera rossa” e grida inconsiderate da parte di un gruppo di almeno quaranta persone che su di un camion arrivarono alla piazza del paese.

Quivi discesi gli arrivati fecero una prima dimostrazione con battimani e grida di viva il comunismo, unici e soli ospiti nella piazza solatia.

Successivamente, divisi in gruppi, si recarono nelle case di tre o quattro comunisti del luogo allo scopo evidente di pranzare prima di esibirsi in pubblico.

A questo punto è opportuno far notare che nella mattina dello stesso giorno tutto il paese fu trovato imbrattato da numerose scritte ed emblemi di falce e martello, cosa questa che sorprese ed indignò gran parte della popolazione anche per il fatto che fino a quel giorno nessuna cantonata del paese portava segni od iscrizioni di questo o di quel partito.

Ne scaturì un primo increscioso incidente: il locale maresciallo ed il brigadiere dei Reali Carabinieri furono affrontati dall’avv. Vincenzo Immordino di Pietro, già capo manipolo della Milizia volontaria sicurezza nazionale (Mvsn) ed istruttore dei premilitari di Villalba, figlio del locale direttore didattico, fondatore del fascio di Villalba, segretario politico per ben 13 anni, centurione della milizia, sciarpa littorio ecc. il quale, con fare altezzoso, protestò perché un paio di ragazzi cancellavano le scritte stesse con latte di calce.

Nel frattempo trovavasi a passare il sindaco avv. Beniamino Farina il quale, pregato dallo stesso maresciallo ad avvicinarsi, fu da questi invitato ad esprimere il suo pensiero sulla opportunità di intervenire o meno.

Il sindaco, allo scopo di non sottilizzare intorno ad un episodio di nessuna entità, ebbe testualmente a dire: “Che vuole che noi si faccia! Due imbecilli hanno imbrattati i muri e due imbecilli cancellano le scritte”. Al che l’Immordino reagì esclamando: “Il più grande imbecille è Lei!”.

Si ebbe per tutta risposta un sonoro ceffone dall’avv. Farina.

L’incidente però fu subito dopo composto.

Nel pomeriggio, stante questo precedente e per l’insolito avvenimento dell’arrivo del camion, sul quale aveva trovato posto come dianzi è detto una rumorosa fanfara, una discreta folla si riversò nella piazza ove fra gli altri trovavasi il cav. Calogero Vizzini. Questi s’indugiava cordialmente, come è nelle sue abitudini, con i vari cittadini e specialmente con i democratici cristiani, un po’ più allarmati, si intende, per la gazzarra che andavasi preparando perché veniva a turbare la pace del loro paese, sempre tranquillissimo, e pregò per la circostanza tutti i presenti di restare calmissimi e di mettersi in disparte presso la loro sede dalla quale del resto avrebbero potuto comodamente assistere al comizio dei comunisti già definiti da essi stessi e dalla voce pubblica i “Volontari della Morte”.3

Incominciarono così ad arrivare nella piazza i comizianti, satolli del pasto consumato, ed alcuni di questi, riconosciuto il cav. Vizzini, lo salutarono e gli si avvicinarono.

Dopo lo scambio di cortesi convenevoli il cav. Vizzini, non smentendo la tradizionale ospitalità Villalbese, offrì a ciascuno dei presenti ed agli altri che nel frattempo gli si erano avvicinati, delle sigarette ed una tazza di caffè nel più vicino bar.

Si fecero così le ore 17.00 circa.

In questo momento arrivarono, con un gruppo di forestieri, i comunisti del luogo, il signor Michele Pantaleone e l’oratore ufficiale dott. Li Causi.4

Questi mandarono un Villalbese a domandare al cav. Vizzini se corrispondesse a verità quanto era stato loro sussurrato e che cioè, essendo tutta la popolazione completamente ostile alla loro propaganda, il comizio sarebbe stato disturbato da una solenne fischiata.

Il cav. Vizzini rispose tranquillizzandolo nella maniera più assoluta al riguardo e li rassicurò ancora, nel senso che avrebbero potuto tenere tranquillamente il loro comizio senza essere disturbati da chicchessia.

Inoltre ad un gruppo di comunisti nisseni, venuti a Villalba con lo stesso camion, ritenne opportuno consigliare di non fare alcuna allusione intorno a persone e questioni di Villalba, anche per rispetto alla ospitalità che veniva loro offerta.

Cominciò così il comizio.

I democratici cristiani si raccolsero presso il loro circolo in un lato della piazza, i comunisti forestieri e quelli di Villalba, non più di cinquanta o sessanta persone al massimo, nell’altro lato e precisamente innanzi ai locali del Banco di Sicilia. Il rimanente della piazza, anzi gran parte della piazza stessa, rimase del tutto deserta.

Parlò per primo il capo della locale sezione social – comunista signor Pantaleone, già capo settore di Villalba del Partito nazionale fascista (organizzazione capillare del regime ) seguito da un altro oratore forestiero e prese infine la parola il dott. Li Causi.

Questi svolse per primo un inno all’internazionalismo, parlò di sopraffazioni e di liberazione, della principessa di Trabia, dei suoi feudi, dei gabellotti sfruttatori, aggiungendo: “Non vi fate lusingare da un affittuario ( a chi intendeva riferirsi? ) che vi promette una salma di ottimo terreno per avervi con lui.” A questo punto il cav. Vizzini senza l’intenzione di provocare un tafferuglio ma solo allo scopo di precisare, ebbe ad esclamare: “Quello che asserite è falso!” ed avrebbe desiderato continuare per dire che se oppressori vi erano stati a Villalba, il popolo tutto non lo avrebbe mai dimenticato, essi erano precisamente quei fascisti che oggi si presentavano al suo cospetto in veste di comunisti, tutti in rango serrato attorno all’oratore, e che avrebbe potuto documentare la sua asserzione in quanto proprio quei signori erano stati i fautori della divisione del feudo Miccichè, erano proprio essi che si erano presi i terreni migliori, erano proprio essi che diedero ai contadini i terreni peggiori e che per venti anni di regime fascista avevano ignobilmente sfruttato i poveri lavoratori di Villalba facendo ad essi pagare il doppio del canone che precedentemente veniva corrisposto in misura più equa e più onesta.

Vi erano infatti accanto all’oratore i seguenti individui:

Vaccarella Calogero, fascista della prima ora, fondatore del fascio di Villalba, ex segretario politico e primo podestà fascista;

Pietro Immordino, già innanzi citato, altro fondatore del fascio di Villalba, segretario politico per la bellezza di tredici anni, centurione della milizia, sciarpa littorio, ecc, già arrestato dal comando alleato all’arrivo in Villalba delle truppe di liberazione e rilasciato a seguito di generosa intercessione del cav. Calogero Vizzini che, per la sua dirittura politica, fu dal popolo tutto acclamato sindaco della libertà e dagli Alleati convalidato sindaco di Villalba;

Pantaleone Michele, fascista attivo ed intransigente, già capo settore del Partito nazionale fascista;

Vasta Giuseppe di Salvatore, milite fascista, volontario di Spagna, combattente contro il comunismo;

Pellegrino Giovanni, fascista della prima ora e facente parte della polizia segreta della federazione dei fasci di combattimento, arrestato dagli Alleati al loro arrivo in Villalba e liberato, come l’Immordino, per generosa intercessione del Cav. Vizzini;

Calogero Ferrara, della gioventù italiana del littorio;

Immordino Vincenzo, figlio di quel Pietro innanzi citato, capo manipolo della milizia ed istruttore dei premilitari di Villalba.

Questi, unitamente al padre, all’approssimarsi degli Alleati a Villalba, fuggì dirigendosi verso Valledolmo ove chiese ospitalità presso una famiglia di villalbesi ivi residenti. Disse il padre ch’era loro intendimento di congiungersi con le truppe tedesche in ritirata per rifugiarsi in continente. Ne furono dissuasi finchè non venne arrestato il Pietro Immordino.

Giglio Giuseppe fu Filippo, istruttore dei giovani fascisti di Villalba;

Riggi Domenico, abberratissimo fascista, oggi comunista, in una proprietà del quale è stata rinvenuta, durante unaperquisizione ordinata a seguito degli incidenti verificatisi, una cassetta di bombe a mano.

Tutti i sopra elencati hanno detenuto sfrontatamente per venti lunghissimi anni il potere a Villalba, ed oggi, ironia della vita, formano da soli, compatti, il gruppo social – comunista di questo paese!

Ed ora continuiamo:

Non avvenne però quello che era in un cuore generoso e nel pensiero del cav. Vizzini perché i comunisti, indubbiamente quelli del luogo, temendo di venire scherati dalle sue dichiarazioni, si voltarono come un solo uomo verso la voce che veniva dalla piazza e cominciarono a sparare pazzamente.

A questi spari seguì lo scoppio di una bomba a mano che provocò un generale fuggi fuggi.

Fino a questo punto l’oratore rimase con presenza di spirito dritto sul tavolo dov’era salito per il concione mentre il cav. Vizzini rivolto verso i comunisti gridava levando le braccia: “Calma, calma!”.

Seguì lo scoppio di un’altra bomba a pochi passi dal punto dove trovatasi il cav. Vizzini il quale si riparò dietro il camion che riportò, come si vide poi, danneggiamenti al radiatore.

Dopo qualche istante la piazza rimase quasi deserta.

Spuntò un appuntato dei Carabinieri al quale il cav. Vizzini rivolse subito invito di chiamare il maresciallo per renderlo edotto di quanto era avvenuto, sullo stesso luogo cioè ove si era svolto un così grave ed increscioso incidente.

Avrebbe difatti potuto rilevarsi, e chiaramente, con le tracce ivi esistenti, da che parte ebbe inizio la battaglia, da quel lato erano state lanciate le bombe, quale il piano di una così diabolica ed infernale azione così minutamente preparata ed organizzata da un gruppo di scalmanati e di criminali.

Il maresciallo non credette opportuno intervenire, si ha ragione di ritenere, l’appuntato non fece più ritorno e frattanto il cav. Vizzini, sollecitato dal conducente dell’autocarro, si adoperò a fornire a questi quanto gli fu richiesto per potere rimettere in moto l’automezzo in parola.

I carabinieri poi sopraggiunti rimossero i pezzi degli strumenti abbandonati, rinvenirono una bomba inesplosa ed una cinghietta di bomba e, per suggerimento dello stesso Cav. Vizzini, trasportarono ogni cosa in caserma.

Ciò fatto questi si allontanò dalla piazza, l’autocarro partì e la gazzarra insensata rimase in pasto ai più deplorevoli apprezzamenti della buona gente di Villalba, atterrita, che ha sempre vissuto in perfetta sanità di costumi, in tutti itempi e malgrado inenarrabili sofferenze.

Tanto per la verità dei fatti.


1Cfr. Nara, rg. 226, s. 108, b. 149, f. jp-950. Documento originale in italiano 2 Michele Pantaleone (1912 – 2002) è una delle voci più autentiche della lotta contro la mafia. Originario di Villalba (suo padre è un avvocato di idee repubblicane), nel 1943 diventa segretario della locale sezione socialista. Nel 1944 assiste all’aggressione armata organizzata dal capomafia Vizzini contro il dirigente comunista Li Causi, durante un comizio di quest’ultimo nella piazza del paese. Dal 1947 al 1951 è deputato all’Assemblea Regionale (viene rieletto nel 1967). Con l’editore Einaudi pubblica nel 1962 il celebre volume Mafia e politica e, negli anni successivi, opere grazie alle quali il fenomeno mafioso inizia ad essere conosciuto in tutta l’Italia: Mafia e Droga (1966), Antimafia, occasione mancata (1969), L’industria del potere (1972), Il sasso in bocca (1984). Collabora a lungo con il sociologo triestino Danilo Dolci e con intellettuali del calibro di Carlo Levi. 3 Appare singolare che la non meglio definita “voce pubblica” definisca i comunisti “volontari della morte”. Si riscontrano, semmai, chiare assonanze con il linguaggio delle squadre fasciste, dove la parola “morte” è una costante. I fatti di Villalba sono forse la conseguenza di una strategia provocatoria ordita da agenti sabotatori repubblichini, in azione in Sicilia dalla fine del 1943? E non mancano le analogie con le trame fasciste di Piana degli Albanesi (vedi il rapporto “Situazione politica a Piana dei Greci”, in questa antologia). E’ evidente che gli attacchi ai socialcomunisti non sono un fatto isolato. Da un documento dell’11 giugno 1945 intitolato “Rapporto mensile del questore della provincia di Palermo”, apprendiamo che “si lamentano disordini causati da elementi partigiani di ritorno dal nord Italia. Sono stati denunciati rapimenti, furti di automobili, saccheggi nelle case, illecita appropriazione di beni privati e atti intimidatori. Gli incidenti hanno provocato apprensione tra la popolazione.” Cfr. Nara, rg. 226, s. 108, b. 151, f. jp-1600. E’ quantomeno strano che “elementi partigiani” arrivino dal lontano nord con l’unico obiettivo di compiere ogni sorta di razzie a Palermo. 4 Nato a Termini Imerese (Palermo) nel 1896, Girolamo Li Causi aderisce al Pcd’I nel 1924. Nel 1928 è arrestato per attività antifascista e condannato a 21 anni di carcere. Liberato nell’agosto del 1943, nel 1944 diventa segretario regionale del Pci siciliano. Nel 1946 è eletto deputato alla Costituente e, nei vent’anni successivi, si afferma come il più prestigioso esponente del Pci isolano.

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