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Quando i nodi vengono al pettine

Da Minerva Jones
Arrivo da voi esausta, pensando che, forse, in questa serata senza senso, mangiare il vostro tipico piatto mi potrebbe aiutare a pacificarmi con l'esistenza un minimo, potrebbe farmi sentire illusoriamente amata e curata attraverso del buon cibo prima d'andare a dormire. Mi siedo nel dehor, senza prestese, avvertita da voi che un nostro amico comune - uno intenso, problematico, ma 'sano' - ci raggiungerà più tardi. Mi coccolate - io che sono da vent'anni non una amica, ma una buona conoscente - offrendomi più vino del previsto. Mangio il vostro piatto casalingo così semplice eppur saporito e appagante.
Arriva nell'ordine l'immigrata africana alcolista (che voi non lasciate bere oltre un certo limite pur se ha i soldi per pagare altre consumazioni) che si lascia devastare dalle zanzare e mi spiega che non bisogna chiedersi perché queste ti pungano, ma dar loro ciò che loro serve per sopravvivere e che 'dare senza chiedere' è la differenza tra vivere (ciò che fa lei) e sopravvivere inutilmente.
Arriva l'amico comune che mi spiega che da quando la sua compagna è morta - di cancro, un anno dopo che lui venne scarcerato dopo una pena infinita - ha deciso di 'vivere', ovvero di accettare e godere tutto ciò che la vita gli porta nel bene e nel male, chiaramente sperando che la dimensione positiva sia più frequente. Ci si beve insieme un amaro, tra abbracci e sorrisi silenziosi.
Ci sono il nuovo immigrato in terra torinese, e la di lui compagna di Santo Domingo, parimenti sbronzi, che non conoscono l'identità storica del locale, e che vanno accompagnati nell'accesso alla città e alle sue modalità di relazione con i nuovi venuti. E che verranno accolti, con amore e cura, da noi 'autoctoni' come mai avrebbero immaginato.
C'è il proprietario del locale, che venuto a conoscenza del fatto che sono un'antropologa, in più con esperienza di redazione di testi altrui, mi chiede di leggere un racconto che ha scritto (il primo della sua vita!) - veramente commovente e ben articolato - di condanna al razzismo eppure ancor delicato: 'militante', ma senza violenza alcuna. 'Onirico' - a volervi trovare una definizione corretta. E che con infinito amore e stima gli correggerò e lo renderò al meglio nei prossimi giorni - ve l'assicuro!
E la sua compagna, che ha passato un tumore e che ora ne è fuori, con cui si parla della prima azione che compi d'istinto quando ti dicono che dovrai fronteggiare questo nemico: ovvero fare testamento, 'mettere in ordine le cose'. Di lì i racconti in sintesi di questi ultimi anni, delle cose che abbiamo fatto, di ciò che per noi ha valore, ormai, nelle nostre vite. Di come ne siamo venute fuori con determinazione, malgrado i pronostici avversi. Ci abbracciamo, e nel nostro abbraccio finale mettiamo a contatto la fronte - e le nostre menti. Non abbiamo bisogno di ulteriori parole. Sono solo amore e sorrisi. Solo, ancora, amore e sorrisi. E anche risate, ché ne siamo venute fuori. E abbiamo un altro sguardo, ora che ci specchiamo reciprocamente negli occhi, consapevoli di quello che stiamo provando. Feroce. Felice.
Non più conoscenti: amici. Questo ciò che ho incontrato stasera, quando tutti i nodi sono venuti al pettine. E quanto darei perché tutte le serate della mia vita fossero così! Darei la mia vita.  Anzi no: io do la mia vita, perché tutte le sere della mia vita siano come questa.

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