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Quando l’aborto di una minorenne finisce in prima pagina

Da Marypinagiuliaalessiafabiana

Quando l’aborto di una minorenne finisce in prima paginaDa quando ho letto questo  articolo non sono riuscita a non pensare alla storia di Sara, 16 enne di Trento, sbattuta indelicatamente in prima pagina.

Non sarò l’unica, e come immagino molte  e molti di voi mi sono  ri-immaginata io a quell’età (com’ero? Cosa avrei pensato o fatto se per assurdo mi fossi trovata al posto di questa ragazza). Poi mi sono immedesimata (più  a fatica perché madre non sono) nel ruolo di madre, di genitore, di responsabile di mia figlia ancora minorenne. L’unica cosa di cui sono sicura è che mi ha infastidita profondamente la modalità con cui i media hanno dato in pasto ai lettori una storia così delicata e significativa. Mi riferisco in particolare ad alcuni articoli, perché non ho idea sul se e eventualmente come i telegiornali o la TV in generale ne abbiano parlato, magari me lo direte voi ( lo sapete che agli italiani all’estero non è concesso guardare i TG in streaming?).

Poi stamattina mi sveglio, ed ecco qui l’epilogo.

Sara (nome fittizio ovviamente) ha deciso di abortire.  C’è anche scritto che lo ha fatto autonomamente, quindi di sua spontanea volontà, ma questa spontaneità è stata diciamo aiutata dall’incontro con il Magistrato chiamato fortemente in causa dai genitori preoccupatissimi. Improvvisamente a tutti importa enormemente della vita e dell’utero di questa ragazza, ma dove erano mentre Sara cresceva e diventava una donna?

Allora, la questione non è semplice e sicuramente inciamperò anche io nel dire qualche banalità. Ma vista la delicatezza di questa storia, nelle mie riflessioni vorrei dare un ruolo importante alla protagonista. Sara, una ragazzina di sedici anni, è stata trattata dalla stampa come una vittima incapace di intendere e di volere, un’incosciente, una ragazza immatura vittima di sentimenti che solo lei crede possibili. Sostanzialmente si è dato un grande peso alla richiesta disperata dei genitori così coscienziosi da aver capito che è troppo presto perché la figlia diventi madre visto che, “tra l’altro”, lo straniero che l’ha messa incinta è un violento e la picchia; hanno chiesto quindi ai magistrati “convincetela voi, dobbiamo obbligarla ad abortire”. Da quando poi i Magistrati siano diventati consulenti e assistenti sociali a domicilio questo mi sfugge.

Ecco, questa cosa dell’obbligare, nonostante la complessità della situazione, non mi è piaciuta per nulla. Non mi è piaciuta questa idea che si trasmette della forzatura, questo dare per scontato che siano gli altri a decidere del suo corpo. 

E’ vero, si tratta di una minorenne, ma il dialogo non è costrizione, e la consapevolezza non passa per il divieto o per il “devi fare così”. Piuttosto credo che la consapevolezza derivi dalla formazione, dall’educazione, da quel articolato, faticoso ma immagino anche  entusiasmante processo educativo che fa parte dell’essere genitori e dell’essere figli.

I comportamenti di una sedicenne sono spesso il frutto degli insegnamenti, dell’educazione che ha ricevuto. Dai genitori, dalla scuola, dagli amici, parenti, dalle figure di riferimento, dai libri, dalla radio (se li legge o se l’ascolta), dalla tv che guarda. Tutto questo crea un bagaglio di informazioni, spunti, riflessioni più o meno consapevoli. Una sedicenne non è un’adulta e non si può pretendere che si comporti da tale; nello stesso tempo non si tratta più di una bambina. Non si può lasciare una figlia libera di emanciparsi senza darle gli strumenti per farlo consapevolmente. I genitori erano (immagino) da tempo al corrente che la figlia frequentasse questo ragazzo. Sapevano che aveva una vita sessuale attiva. Si sono mai preoccupati di parlarle con lei di questo o che lei ne parlasse con qualcuno? E questo ragazzo, della sua di educazione e educazione sessuale (come di quella di tanti altri ) si preoccupa qualcuno? O si grida “al lupo al lupo” solo quando c’è un “problema” evidente da risolvere?

Inoltre: dov’erano i genitori quando la figlia veniva picchiata? Come mai, se è vero che era rimasta già incinta e aveva fatto ricorso alla pillola abortiva, quell’episodio non è stato trasformato in un’occasione di ragionamento e di innalzamento della consapevolezza per evitare drammi futuri?

L’amarezza che provo riguarda soprattutto questo aspetto: se è vero che questo ragazzo l’ha picchiata, non è stato denunciato?  Non sono state fatte perizie? Cioè il problema è la gravidanza, ma non le violenze subite? Tra l’altro, aldilà della veridicità di questa accusa, gradirei che la stampa italiana la smettesse di manifestare pericolosi razzismi chiamandolo“l’albanese violento”. Non ha un nome, reale o fittizio, con cui essere identificato ?

E allora, ripenso a questa storia e ripenso al contesto.

Quando l’aborto di una minorenne finisce in prima pagina
L’Italia, il paese in cui non si può parlare di preservativi, ma tutti si permettono di stupirsi se una ragazzina resta incinta. Non si parla quasi mai di educazione sessuale, si ostacola per bigottismo una formazione nelle scuole, non si aiutano i giovani a scoprire la loro sessualità, non si aiutano le ragazzine a imparare a difendersi in caso di di rapporti sessuali forzati, si chiudono i centri antiviolenza e si mettono i militanti anti-abortisti nei consultori.

Poi, quando una ragazzina si trova a un bivio fra un’operazione chirurgica di aborto e il diventare madre a 16 anni, i genitori hanno bisogno di chiedere aiuto a un magistrato per spiegare, quando in qualche modo è troppo tardi e la traccia di ciò che è accaduto resterà comunque indelebile, che è meglio così?

E perché (queste le motivazioni):

- è troppo giovane e un figlio le rovinerebbe la vita

- lui è un violento, pure straniero

- non sono veramente innamorati

Ma scherziamo?

Dalle pagine di questo blog spesso sottolineiamo quanto sia importante parlare di sessualità ai più giovani; non ci stancheremo mai di ripetere che i tabù e l’ignoranza portano problematiche gravi che incidono soprattutto sulla vita delle persone meno preparate, persone che spesso vivono in contesti socio-culturali di grande  semplicità, a volte di povertà.

Si è parlato di Sara, dei suoi sedici anni. Quello che resterà nelle menti di tanti e che turberà i moralisti di turno sarà solo la scelta di abortire, scelta che personalmente definisco un sacrosantissimo diritto (se, e solo se, non è costrizione).

Quello che invece mi turba è soprattutto l’ignoranza, la non consapevolezza.

Se Sara è stata picchiata, non ci preoccupa che una giovane donna di sedici anni non sia stata aiutata a difendersi e che non sia stata capace di distinguere fra un rapporto normale di innamoramento e un rapporto violento di cui lei è vittima?

L’ inconsapevolezza è il peggiore dei mali  e una storia come questa secondo me sottolinea il fallimento di una società (genitori, scuola, media…) che non sa formare, prendersi cura né proteggere i più giovani e soprattutto le più giovani.

Sara farà i conti con due aborti e il proprio vissuto sbattuto sui giornali, con dei genitori che non sono stati capaci ( non li giudico, a essere genitore non ti insegna nessuno ma mi auguro facciano anche autocritica) di parlare con lei senza passare per l’aiuto probabilmente intimidatorio di terzi.

E come la storia di questo ragazzo, con i suoi diciotto anni appena compiuti,  protagonista di furti, violenze, e di una vita in una comunità dove si arrangia come può, ce ne sono purtroppo tante.

Ma di educazione, educazione sessuale, politiche di integrazione degli immigrati, si parla ancora troppo poco e male.

Davvero l’importante è che Sara abbia abortito?

Regaliamo alle bambine  bambolotti, pannolini e passeggini giocattolo, come se diventare madre fosse l’unico modo per realizzarsi, ma quando il loro corpo fiorisce come le aiutiamo a diventare grandi e a pensare alla sessualità e alla maternità in modo consapevole?



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