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Quando l’autore fa l’editor

Da Marcofre

C’è un gigante della letteratura che scrisse un capolavoro assoluto, un romanzo che nella versione italiana conta più o meno 1500/1600 pagine. Non sono molti coloro che si sono cimentati in un’impresa di questo genere; esatto, parlo di Lev Tolstoj, e del suo “Guerra e pace”.
Quello che molti ignorano è che esiste un’edizione “ristretta”, di meno di 1000 pagine.

A tagliare così drasticamente ci pensò lo stesso Tolstoj, e a quanto mi risulta in Italia questa versione “dimagrita” del romanzo non è mai arrivata.
In Francia al contrario, fu pubblicata, e lo scorso anno, in occasione del centenario della morte dello scrittore, si è provveduto a ristamparla.

Perché ne parlo?
Soprattutto per ricordare (per l’ennesima volta), come un’opera spesso non termina: si interrompe. Ma nulla vieta o impedisce all’autore di tornare sui suoi passi, per riscriverla. Modificarla. Ridurla, certo.

Non so quale possa essere stata la qualità di editor di Tolstoj: temo inferiore al suo essere scrittore. Ciò che però occorre tenere in mente, è questo. L’opera è qualcosa di vivo, e di fatto non esiste la parola “Fine”. Non solo perché poi lo scrittore prosegue la sua riflessione, continuando a scrivere; finché la morte arriva a interrompere i giochi.

Bensì perché ogni racconto o romanzo potrebbe essere ripreso, e modificato. Carver; Silone, per fare un esempio, sono scrittori che amavano tornare sui propri scritti. Da qualche parte ho letto che proprio di “Guerra e Pace” esisterebbe tre/quattro versioni dello stesso Tolstoj (tra cui quella “ristretta”): qualcuno può confermare? Ma immagino che sia vero.

Provo a concludere questo post. Prima considerazione: un autore per quanto grande (e Tolstoj lo era eccome), sviluppa nei confronti della storia un rapporto complesso, viscerale. Posso esagerare, e scrivere: il vero autore è l’editore, le scadenze che impone, perché in questa maniera lo scrittore è spinto a separarsi dalla sua creatura. Ma questa sopravvive al distacco: prosegue il suo cammino nei libri successivi, oppure torna al suo creatore con la richiesta di un’ennesima riscrittura.

Seconda considerazione: ci vuole un editor. Molti sono scandalizzati dal fatto che adesso tutti siano così inclini a ricorrere a questa figura: perché gli scrittori di oggi non sanno scrivere, affermano.
Come se Zola o Dickens, non avessero mai sbagliato un colpo.

Terza considerazione, e credo sia l’ultima. Una storia non è mai perfetta, nemmeno se passa attraverso il vaglio del migliore degli editor. Proprio perché costui non scrive, o riscrive; bensì critica, suggerisce, propone nuovi sviluppi, litiga o discute con l’autore. È quindi una fase della creazione molto delicata, sistematicamente ignorata (a favore della pubblicazione più o meno immediata), indispensabile. Il suo fine non è confezionare qualcosa di magnifico; ma indicare con sicurezza il cammino dell’autore, e la sua fatica.

Non me ne voglia il buon Tolstoj: un buon editor non gli avrebbe fatto male.


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