Magazine Religione
Da Avvenire del 14 dicembre 2013.
«Tardo pomeriggio, aula magna di un prestigioso liceo di una grande città. Il collegio docenti si sta protraendo oltre il tempo previsto. È da tre ore che si discute di molte cose (incarichi aggiuntivi ai professori, viaggi di istruzione, insegnamento sperimentale di alcune materie in inglese...), molti colleghi sono stanchi (sono ormai le 18, dopo una mattinata di scuola), finché si arriva a trattare il punto dell’ordine del giorno relativo ai criteri per l’attribuzione del cosiddetto 'credito scolastico'. Si tratta di quel punteggio che contribuisce ogni anno a determinare la media finale della valutazione di ogni alunno, media che a sua volta andrà a comporre una quota del voto di maturità. Una collega chiede la parola: a suo parere, gli studenti che hanno scelto di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica (Irc) non hanno diritto a vedersi riconosciuta, nel credito scolastico, la valutazione di questa materia. Perché mai? Perché – a suo dire – così verrebbero discriminati gli alunni che non fanno religione, visto che la scuola, a causa di problemi organizzativi, non sempre è in grado di garantire l’ora di una materia alternativa. Tesi quanto meno bizzarra: in che modo si discriminerebbe qualcuno che sceglie di non avvalersi dell’Irc, se si valuta chi invece la segue? Non si tratta certo di attribuire dei punti in più ai ragazzi che scelgono l’Irc, ma di consentire loro di essere valutati adeguatamente anche in questa disciplina. Interviene con pacatezza un docente di Irc, ricordando a tutti i colleghi il senso della sua materia: non certo un’ora di 'catechismo', come qualcuno forse ancora pensa (non so quanto in buona fede), ma un momento di approfondimento di tipo storico, sociale e culturale. Un’ora, anche, in cui i ragazzi sono liberi di discutere le grandi questioni dell’esistenza e i tanti problemi pratici della loro vita. Non parlo pro domo mea (giacché non insegno religione), ma vedo che è così, e che la qualità di questi docenti (ormai quasi tutti laici) negli ultimi anni è molto cresciuta, grazie all’accurata selezione compiuta dagli uffici diocesani. Un collega di storia e filosofia interviene dicendo che non è accettabile che siano le diocesi a decidere chi debba insegnare nella scuola statale. Un altro docente gli fa presente, con sano buon senso, che non è certo questa la sede per mettere in discussione il Concordato. A me piacerebbe chiedergli chi debba mai individuare i docenti di Irc se non l’autorità che rilascia i relativi titoli abilitanti, che è, appunto, l’autorità ecclesiastica, visto che in Italia a un certo punto si decise che la teologia nelle università statali non dovesse essere insegnata. Sarà per la stanchezza generale, fatto sta che il dirigente scolastico accetta che si metta ai voti la proposta di eliminare l’Irc dalle materie che vanno a costituire il credito scolastico. La proposta passa a larga maggioranza. Peccato però che la delibera del collegio docenti sia palesemente illegittima. C’è una sentenza del Consiglio di Stato del 2010 (che ha riformato una precedente sentenza del Tar Lazio): in essa si dichiarano legittime le ordinanze ministeriali nelle quali la frequenza, con interesse e profitto, dell’Irc è ammissibile tra i criteri di attribuzione del credito scolastico, insieme agli altri; si raccomanda di istituire anche l’ora alternativa, ma la sua non attivazione non elimina la possibilità di riconoscere la frequenza all’Irc. Non si può dunque avallare l’arbitrio di ignorare gli elementi che la norma ci impone di considerare quando valutiamo i ragazzi. Dunque stabilire che in una scuola questo criterio non sarà riconosciuto è illegittimo, giacché il collegio docenti è un organo deliberante, non certo legiferante. Ancora una volta l’ideologia prevale sulla realtà (e sulla legge), violando, tra l’altro, il patto educativo tra scuola e studenti. Sulla base di questo patto molti, anzi la gran parte dei ragazzi e delle loro famiglie, hanno scelto di avvalersi dell’Irc, convinti che ciò avesse un peso sulla valutazione. Ora tale diritto viene loro negato. A questo punto chi è discriminato?»
Roberto Carnero
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