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Quando la notte, viene presentato in concorso a Venezia nel 2011. Cristina Comencini, regista e autrice, ancor prima, dell'omonimo romanzo, mette in scena un dramma più che mai introspettivo, personale, di una donna e di un uomo legati da un passato sofferto, che non molla la presa nemmeno sul presente.
Marina (Claudia Pandolfi) è una donna sola. Lo si capisce fin dalla prima volta che la macchina si posa sui suoi occhi. Una donna che se ne va in vacanza in montagna (da sola ) con il figlio, per un mese. Siamo in Piemonte, e nella stessa casa che accoglierà Marina e il piccolo Marco, si trova Manfred (Filippo Timi). Anche lui un uomo solo, che condivide la sua vita con le montagne, è una guida alpina. Nell'anima di quest'uomo arde un odio e una repulsione per l'immagine della donna, dovuta a un abbandono da parte della madre quando ancora era un bambino e della moglie. La Comencini (sorella di Francesca, figlie del grande Luigi), ha scritto e diretto, tra gli altri, film come Va' dove ti porta il cuore (1996), Il più bel giorno della mia vita (2002), Bianco e Nero (2008) e devo ammettere che non rappresenta affatto il mio genere letterario prima, cinematografico poi, "ideale".
Quando la notte, però, mi ha particolarmente "scombussolata" dentro, senza darmi una motivazione razionale, dunque facendo pieno centro. Perché è così, inutile negarlo, quando un film ti scuote e nemmeno capisci la reale origine di questo turbamento, significa che ti arriva nella maniera più totale. Un po' come accadde (a me) con Carnage di Roman Polanski (senza stare a paragonare i due...). Il film inizia subito a raccontare, e ci riesce, gli stati d'animo di Marina. Ripeto, una "donna sola" che condivide con il marito giusto un paio di telefonate, di quest'uomo non si sa nulla ed è forse così che vuole l'autrice. Una madre alle prese con il complicato ruolo affidatole. Ma a rendere tutto più difficile e vorrei che si capisse questo, è la situazione di Marina nello specifico. Non si può pensare che fare la madre sia solo un'esperienza devastante, che isola e relega la donna ai margini di una (non)vita sociale. Parlo da madre di due bambini, forse questo ha reso più fluido e naturale il calarmi nella parte di questa donna, non posso negarlo. Le giornate in casa, da sola con tuo figlio, che non dorme e gironzola alla ricerca del pericolo più a portata di mano, sono dure da far passare. Quando Marina guarda l'orologio, distrutta perché le notti in bianco si fanno sentire come un macigno che ti si scaraventa addosso, oppure i suoi disperati tentativi di ristabilire la calma e mantenere saldi i nervi, quelle sono cose "vere", reali. Per quanto si possa non amare un regista e il suo modo di scrivere, il suo modo di fare cinema, è dura poi stabilire l'impatto che può avere un film del genere su una fetta presa a caso di pubblico. Intendo dire che, solamente chi ha provato sulla propria pelle quelle stesse sensazioni può comprendere il film della Comencini.
La Pandolfi (io ho un debole per questa donna e lo ammetto) riesce a portare sullo schermo quello che realmente accade a una madre in difficoltà. Una donna che ama il proprio figlio e al contempo si ritrova ad odiarlo, quando il pianto diventa insopportabile e le ore non passano mai. Filippo Timi dal canto suo appare come un uomo burbero, quasi selvaggio e pieno di rabbia. La stessa che, darà inizio a un rapporto di odio/amore (/passione) con Marina. Inizia tutto con un incidente avvenuto di notte al piccolo Marco, sarà Manfred a soccorrere il bambino, la corsa in ospedale, i sospetti di lui verso Marina e l'intenso e lento crescere di una passione destinata, prima o poi, a "consumarsi".
Non saprei dirvi con esattezza cosa, più di ogni altra, abbia scosso la mia persona. Quello che però ricordo con maggior turbamento, accompagnato da una serie insolita di raffiche allo stomaco, è la sequenza in montagna con Manfred e il piccolo, la disperata e affannata corsa di Marina per raggiungere il figlio e il suo prendere la cosa con assoluta eleganza e tranquillità, senza rabbia nei confronti dell'uomo che, ha voluto (con cattiveria) metterla alla prova. La sequenza in ospedale e le parole di Manfred. Il loro incontro dopo quindici anni e la loro passione ancora così viva, finalmente giunta a un punto di incontro, "l'unico".Il sesso e il cinema sono ormai indissolubili, mi rendo conto che non c'è film che io veda in cui manchi almeno una scena di sesso. Poi però ci sono casi in cui questo arriva dove deve arrivare e altri in cui lascia indifferenti, o meglio si occupa di soddisfare al limite un puro piacere voyeuristico e nulla più. Marina e Manfred danno qualcosa di più, seppur nelle loro a volte infantili reazioni, verso la fine del film, che passano per inverosimili ai più...e catturano i meno.
Io appartengo ai meno...
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