Quando la scienza inciampa trova sempre qualche filosofo “d’ufficio”

Creato il 27 febbraio 2012 da Uccronline

«Con questo articolo diamo avvio alla collaborazione con Mariano Bizzarri, docente di Biochimica e professore di Patologia Clinica presso il Dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università “La Sapienza” di Roma. E’ direttore del “Systems Biology Group Lab” presso il medesimo Ateneo. E’ segretario generale della ISSBB (Italian Society for Space Biomedicine and Biotechnology) e Presidente del Consiglio Scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana»

di Mariano Bizzarri*
*docente universitario di biochimica

Certo, a ben guardare la copertina del n. 1/2012 di Micromega, in cui il ritratto di Che Guevara campeggia a fianco di una sorta di mostro cibernetico, sarebbe ben difficile dubitare che l’uomo – o almeno certi uomini – possano discendere dalla scimmia. Lo aveva già scritto Elio Vittorini – fascista della prima ora e poi redentosi nello scoprirsi improvvisamente comunista, all’indomani del 25 luglio -  quando distingueva tra “Uomini e no”. Così anche per Telmo Pievani, c’è “Scienza” e altre cose che – a suo parere – “Scienza non sono”. Questo modo manicheo di guardare alla ricerca scientifica, accaparrandosi solo i risultati a favore di una tesi precostituita e “rimovendo” tutti gli altri, è invero proprio di coloro che, per la verità, hanno ben poca dimestichezza con la scienza reale. Quella che si fa, concretamente in laboratorio o sul campo. Che insegna molta umiltà e lascia poco spazio al flusso ininterrotto di pubblicazioni che solo un filosofo può permettersi. Ho sempre rilevato quanto fosse anomalo come i più ardenti difensori della scienza positivista allignassero tra i filosofi progressisti, orfani di Marx, incapaci di concepire la Fede se non come un grumo di superstiziosi, costretti a rivolgere il loro bisogno di pietas verso l’idolo ultimo: la Scienza innalzata a suprema dispensatrice di quelle certezze che sarebbero altrimenti  incapaci di  costruirsi.

Per Pievani, enfant prodige coccolato dall’intellighenzia progressista, la teoria di Darwin non è un contributo storicizzato alla ricerca della verità, ma dogma di fede, dato che ha ricevuto ampia e ripetuta conferma sperimentale. Evidentemente Pievani ha poca dimestichezza con l’imponente mole di dati che, pur movendo dalla visione evoluzionistica, hanno nel corso degli ultimi decenni mostrato lacune rilevanti al modello darwinista. Basti, per tutti, citare dall’ultimo libro di Piattelli-Palmarini e J. Fodor, “Gli errori di Darwin”: «Non sappiamo molto bene come funzioni l’evoluzione; non lo sapeva neanche Darwin e non lo sa esattamente […] nessun’altro. Nessuno degli scienziati che lavora in ambito sperimentale è ormai più “un genuino adattamentista”; anche se fanno piacere, questi “riallineamenti” non sono “la norma nella biologia in generale […] certo non sono la norma per l’opinione informata in campi […] come la filosofia della mente, la semantica del linguaggio naturale, la teoria della sintassi, le teorie del giudizio e della decisione, la pragmatica e la psicolinguistica. In tutte queste discipline il neodarwinismo è assunto come un assioma: non viene mai, letteralmente, messo in questione. Una concezione che sembri contraddirlo, direttamente o per implicazione, è ipso facto rifiutata, per quanto plausibile possa sembrare. Interi dipartimenti, riviste e centri di ricerca operano secondo questo principio. Di conseguenza il darwinismo sociale cresce rigoglioso, come il darwinismo epistemologico, il darwinismo psicologico, l’etica evoluzionistica e, il cielo ci scampi, l’estetica evoluzionistica.  Se volete vedere i loro monumenti date un’occhiata alle pagine scientifiche dei quotidiani». Come dir meglio?

Sappiamo però come tale volume sia stato recepito dalla critica. Dopo aver invano cercato di impedirne la pubblicazione in Italia, le corazzate della libera informazione (“Repubblica” e “Corriere della Sera” in testa), lo hanno infangato in tutti i modi possibili. E i due poveri malcapitati, nonostante la loro comprovata competenza e fede anti-religiosa, sono stati messi alla gogna. Il fatto è che la critica al darwinismo va al di là della pur accesa diatriba scientifica. E investe ambiti ideologici (politici) e metafisici. L’adesione (acritica e cieca) al darwinismo è oggi la cartina di tornasole per decidere chi possegga una concezione del mondo “realmente scientifica” e chi sia invece un povero mentecatto. Per Pievani la «scienza [è oggi] in grado di spiegare la meravigliosa e ambivalente unicità di Homo sapiens senza ricorrere a salti ontologici o trascendenze». Siamo contenti che Egli possa trarre da ciò una rassicurante certezza. Ma questa è materia di psicologia. Pievani non ci dice in realtà nulla di come e dove questa verità sia stata acquisita. Un esercito sterminato di ricercatori sta infatti cercando ancora le risposte. Forse Pievani trarrebbe beneficio dal raggiungerli in laboratorio piuttosto che continuare a scrivere libri che, alla lettera, non aggiungono nulla, ma proprio nulla, alla “verità scientifica”. Pievani deve farsene una ragione: quando la comunità scientifica discute ancora accanitamente a proposito di un argomento, questo accade perché è ancora alla ricerca di una spiegazione organica, razionale e non contraddittoria. Insomma, tutto quello che la teoria di Darwin non è.

Un articolo abbastanza recente (M. Lynch, The frailty of adaptive hypotheses for the origins of organismal complexity PNAS, 2007, 104: 8597–8604), ha messo criticamente in evidenza come, a proposito di Darwin, occorra fare chiarezza tra ciò che è il dato scientifico e quello che appartiene alla mitologia che ci si è costruito sopra. E’ utile riproporre questa tabella riassuntiva che bene evidenzia i punti principali del darwinismo su cui, contrariamente a quanto possa pensare o dire Pievani, c’è molto da “discutere”. Nel corso degli anni la teoria dell’evoluzione ha dovuto riconsiderare l’ipotesi lamarkiana (includendo nel modello l’eredità epigenetica e quella acquisita), ridimensionando il ruolo delle mutazioni e della selezione naturale, ammettendo l’incapacità di spiegare i “salti” evoluzionistici, gli “anelli mancanti” (stiamo ancora cercandoli da qualche parte), e i processi morfogenetici. Pievani cita incautamente il “caso”, assimilandolo quasi ad “arbitrarietà”. Proprio la disciplina che più estensivamente ha studiato il “caso” (pensiamo qui alla termodinamica dei sistemi dissipativi del Nobel Prigogine) ha contribuito a rimettere in discussione l’ipotesi darwinista. L’evoluzione dei sistemi dissipativi si svolge infatti per salti (facendo pervenire il sistema su stati stabili noti come attrattori) e non per continuità “progressiva”, come previsto dal darwinismo classico. Gli organismi complessi posseggono una dinamica non lineare, estremamente sensibile alla fluttuazioni di stimoli i più diversi (e non necessariamente genetici), capace di orientare il sistema verso l’acquisizione di un numero definito di forme possibili a fronte delle infinite possibilità teoriche. In altri termini, l’evoluzione è consentita solo se, all’interno dello spazio delle fasi, il sistema riesce a raggiungere uno degli attrattori previsti. L’attrattore ha una straordinaria capacità di resistere alle perturbazioni indotte (mutazioni, cambiamenti ambientali) e ciò ne assicura la stabilità. Questo spiega perché a fronte di infinite possibilità gli esseri viventi – dalla cellula all’Uomo – assumano solo un numero definito di conformazioni (forme), privilegiate da una logica che non è più quella delle interazioni microscopiche (bottom), ma impressa a livello globale dall’alto (top-down).

Le forme non sono quindi accidenti casuali dell’evoluzione, ma correlazioni ottimali prescelte da una ratio. Ed è questa ratio che può sfruttare o meno l’eventualità rappresentata da modificazioni casuali: il caso viene utilizzato per produrre ordine solo se è coerente con il disegno impresso nello spazio delle fasi. Materia per riflessione, non per pamplets ideologici e polemiche pretestuose. Insomma, c’è molto da fare e da capire (come ricercatore ne sono contento: saremmo altrimenti disoccupati!). Darwin – è proprio il caso di dirlo – non è il Vangelo. E prima o poi qualcuno dovrebbe dirlo a Pievani. Il Nostro si può sempre consolare con qualche filosofia orientale. Ma altrettanto chiaramente va detto che strumentalizzare la scienza per sostenere una visione politica e filosofica è ben misero sotterfugio. La verità è che da sempre l’uomo è alla ricerca di una spiegazione del tutto. E’ stata cercata nella magia, nella religione, nella filosofia politica (“proletari di tutto il mondo unitevi e poi capirete…”) e ovviamente nella Scienza. Non mi pare che qualcuno abbia però trovato la soluzione giusta. Questo è l’atteggiamento laico per eccellenza: ammettere le limitazioni, riconoscere i fallimenti. E da qui ripartire, inventandosi un approccio diverso. O magari riscoprendo un uso diverso di vecchi strumenti. Per questo, fare di Darwin un dogma è non solo un errore, ma un’offesa per coloro che la scienza la fanno davvero.


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