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Quando le parole liquidano

Da Marcofre

La sciatteria di tanta scrittura deriva forse da una incapacità quasi patologica nel vivere (e rendere vive, credibili) le esperienze. Le parole si usano non per condividere, illustrare e comprendere quanto ci capita; bensì per liquidare. Si eccede, perciò: per esempio si usano cinque parole là dove basterebbero due.
O peggio ancora, si usano espressioni retoriche oppure stereotipi.

 

Ella aveva gli occhi da cerbiatta.

 

Come? Suvvia, non dico che si debba andare a vedere come sono gli occhi di un tal mammifero, anzi. Ma si sente persino l’odore di muffa che appesta una tale frase. D’accordo, mi rendo conto che nessuno scrive davvero così (ne siamo certi?).

 

Ella si sposava. Il più bel giorno della sua vita!

 

Non credo che lo sia, se questo è tutto quello che riesce a pensare, e forse a dire. La scrittura è una brutta bestia perché occorre sempre sorvegliarla; a volte persino randellarla per bene, o saranno i lettori a randellare noi. Siamo immersi in molti stereotipi, in frasi fatte: ci sguazziamo. Ma mentre nel parlato è inevitabile (la prima cosa di cui si parla con un estraneo, in una sala d’attesa, è il tempo atmosferico), non lo può essere nella scrittura. Che è, come sanno i sassi, un’altra faccenda. Non si tratta mai di spostare la realtà nella pagina (non ci sta, ho provato: troppo grossa): bensì di scrivere.

Forse non è sufficiente solo leggere molto, re-imparare a leggere e a scrivere. È anche indispensabile comprendere che le nostre esperienze, benché non siano importanti per la scrittura, ci sono tuttavia necessarie per riuscire a apprendere il giusto linguaggio.
Se non siamo in grado di parlare in maniera efficace di quello che capita nella vita (la faccenda più seria che possa capitare a un essere vivente, vero?), sarà impossibile scrivere qualcosa di almeno interessante.

Quando non succede, è perché non siamo in grado di comprendere quanto stiamo vivendo. Di riflettere sulle piccole cose, di trasformarle nel nostro piccolo patrimonio da cui ricavare qualcosa in futuro. E se le piccole cose non sappiamo raccontarle, esprimerle con un poco di fantasia, di cura, come possiamo pretendere di scrivere qualcosa che dia del tu all’arte?
Che almeno ci provi?

Mi sembra di poter dire che a eccellere in questo esercizio siano soprattutto gli uomini; le donne di meno. Non so spiegare il perché, ma diciamo che la media degli esseri di sesso femminile offre spesso una capacità di linguaggio più estesa e interessante. D’altra parte le donne hanno una cura per i dettagli, le sfumature, superiore: esse sono sapiens, gli uomini sono Neanderthal.


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