Quando muore qualcuno

Trovo che dovremmo metterci d’accordo. Non è ammissibile che ogni morto – famoso o non famoso poco importa – diventi il ganglio ideale per qualsiasi forma di polemica oltremodo pretestuosa e sterile. Ognuno – e i social network sono ormai una cassa di risonanza senza eguali – piange i morti che avverte come più vicini alla propria persona. Da sempre è così e sempre sarà così.Solo che oggi ci confrontiamo su internet e abbiamo, tutti, una migliore proposta dell’altro. Anche sui vivi e sui morti. Perciò a Steve Jobs c’è chi ha contrapposto Wilson Greatbatch, l’inventore del pacemaker deceduto qualche giorno prima, “che lui sì, ha fatto qualcosa di importante per l’umanità”. Oppure ci sono coloro, i migliori tra questi, che a ogni morte celebre accostano le migliaia di persone che perdono la vita in guerra o per fame. Quelle migliaia di persone, cioè, di cui in verità non frega niente a nessuno perché abbiamo il pensiero rivolto altrove e che però tiriamo in ballo quando ci conviene.Posso continuare cambiando almeno un po’ il paradigma. Quando fu ucciso Bin Laden, tutti volevano le foto a mo’ di elemento probatorio. È stato ucciso Gheddafi e molti a dire che “le foto cruente non andrebbero pubblicate”. Delle due l’una, suggeriva giustamente Marco Bardazzi su Twitter. Allo stesso modo la circostanza si è verificata tale e quale domenica con la morte di Marco Simoncelli. Epperò, accusavano taluni, i mille morti per il terremoto in Turchia (che alla fine sono 270, ma il numero è superfluo in questi casi) meriterebbero la prima pagina molto più di lui. Non ci si accontenta mai, neppure di fronte alla morte. Anche i media come gli esseri umani compiono una cernita di cosa è prioritario o meno, senza per questo omettere notizie o gravità delle vicende che accadono nel mondo. Sono polemiche astruse da cui nessuno trae giovamento. Potremmo anche evitarle, insomma.