Il povero narratore della domenica (per i meno attenti: il sottoscritto), è sempre a caccia di consensi, o incoraggiamenti. Ma non solo perché è della domenica; anche quello del lunedì (che lo fa quindi bene e per bene), è nella mia stessa condizione. Perché ne ha bisogno come l’aria. Ma come sanno un po’ tutti: c’è consenso e consenso.
C’è incoraggiamento e incoraggiamento.
Ma non doveva finire così!
Che cosa intendo dire? Adesso spiego, non sono mica criptico!
Credo che non ci sia niente di peggio di concludere una storia, e lasciare soddisfatto il lettore. Perché allora non hai combinato molto; un po’ come la musica che accompagna gli spot pubblicitari alla televisione. È questa la funzione della narrativa? Se guardo certe pubblicazioni, e il successo che riscuotono, devo per forza di cose concludere di sì.
Inutile dire che non mi riferisco alla soddisfazione del buon lavoro. Come termina “Moby Dick”? Con un disastro, ma sono soddisfatto, e non sono certo l’unico. Se il romanzo è un classico della letteratura statunitense, è perché un sacco di altre persone lo hanno trovato magnifico. A dispetto del suo finale? Ma grazie al suo finale!
Lasciamo perdere e procediamo.
Di sicuro se per caso il lettore non è soddisfatto di come tu chiudi una storia… Forse ci sei riuscito. A tua insaputa magari, ma ci sei riuscito.
Ma certo! Lo so che a volte il lettore non è soddisfatto perché la conclusione non va; quindi, TU hai sbagliato tutto.
Oppure, non è soddisfatto perché non gli piace e basta; ma in un caso del genere, probabilmente, è solo una questione di gusti.
Mi pare di poter affermare con tutte le cautele del caso che a volte, riesco a scontentare i lettori.
Piantare il lettore in mezzo alla strada
Certo, molti vorrebbero un bel finale dove il bene trionfa sul male.
Oppure, uno di quei finali proprio come si deve, dove è condensata un mucchio di roba istruttiva di modo che il lettore esca di casa più alto di sei centimetri e persuaso che sta proprio dalla parte giusta.
Però non è qui, a mio parere, il senso della scrittura.
Se per esempio accettiamo (e io lo accetto, o almeno ci provo), che l’essere umano è un mistero, allora dobbiamo anche accettare che il finale di una storia, iniziata attraverso un’immagine, sia tale da lasciare spiazzati.
Come se lo scrittore fosse un autista un po’ villano, che scarica in mezzo alla strada il suo passeggero (il lettore), facendogli ciao ciao con la manina mentre si allontana a tutto gas. Sghignazzando pure.
E il lettore lì, in mezzo alla strada, a pensare:
“Ma è così che si fa? Con tutti i soldi che si è preso!”.