Il detto “Sant’Antuono se ‘nnammuraie d”o puorco“ è legato alla storia e alla tradizione cristiana e non solo. Sant’Antonio Abate, protettore degli animali domestici, è rappresentato quasi sempre con un maialino ai suoi piedi ed il 17 gennaio, la Chiesa benedice per tradizione gli animali e le stalle ponendoli sotto la protezione del santo.
Sant’Antonio, eremita e taumaturgo, secondo la leggenda accese il suo bastone con il fuoco dell’inferno per salvare l’anima di alcuni morti. Fondò l’ordine degli Antoniani e fece costruire uno dei maggiori ospedali che durante il Medioevo curavano l’Herpes Zoster o più comunemente noto come “fuoco di Sant’Antonio”. Per curare questa malattia della pelle i monaci usavano il grasso del maiale per lenire i bruciori, e per sfamare i malati dell’ospedale chiesero al Papa il permesso di iniziare ad allevare maiali, in quanto prima la fede cristiana non permetteva il consumo di carne suina.
La leggenda narra che mentre il santo si trova a Barcellona, una scrofa, che aveva tra le fauci un piccolo porcellino zoppo e malato, glielo depose davanti in atto di preghiera ed il Santo con un segno della croce riuscì a guarire il piccolo, che poi lo seguì per tutta la vita. Inoltre grazie a questo miracolo, Sant’Antonio riuscì a convertire tutta la popolazione.
Ma perché si dice che “Sant’Antonio si innamorò del porco”? Questa espressione viene usata oggi nel dialetto napoletano per dire che “l’amore è cieco”. Questa affermazione la dice lunga sui pregiudizi nei confronti del maiale in età cristiana, infatti, questo animale era sacro alla dea della terra e delle messi Cerere, mentre per i cristiani il maiale era considerato un animale immondo. Ma l’episodio di Sant’Antonio può considerarsi una resa da parte della Chiesa di fronte al culto del maiale, quando capì che durante il medioevo con le sue carni si potevano sfamare i numerosi monaci dei conventi e i malati che affollavano gli ospedali.
Da qui il maiale assunse una connotazione positiva e ancora oggi il 17 gennaio si festeggia il santo con l’uccisione del maiale in suo onore. Soprattutto al Sud ed in particolar modo nel napoletano, in quel giorno si accendono dei “focarazzi” (“falò di Sant’Antuono”), che hanno una funzione fecondatrice e purificatrice. Questi fuochi venivano e vengono tuttora accesi nelle strade cittadine, nelle piazze e nei grandi cortili o nelle aie contadine, dove si cantava e si ballava al ritmo di “tammuriate”, e sulle braci di questi falò venivano deposte salsicce e costolette di maiale che venivano distribuite ai partecipanti. Non mancava il “migliaccio”, tipico dolce campano che apriva ufficialmente i festeggiamenti del carnevale.
Un “falò di Sant’Antuono”