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… quando sarebbe meglio andassero a pelar patate…

Creato il 02 dicembre 2012 da Giornalismo2012 @Giornalismo2012
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- Di Carmen Gueye

La recente vicenda del direttore de “Il Giornale” Alessandro Sallusti ha sollevato molte più polemiche di quante ne meritasse e svegliato delle solidarietà evidentemente di consorteria, visto che altro motivo, per difenderlo, non esiste. Almeno, fuori dal tribunale.

Sul merito della questione rimandiamo alla documentazione abbondantemente reperibile in web. Di sicuro c’è che il nostro è stato condannato, in via definitiva, per diffamazione; ha tentato di schivare i guai rivelando che il vero autore dell’articolo era l’esimio Renato Farina, detto “Betulla” quando fa vedere che lavora per i servizi segreti ( proprio lui, quello del rapimento farsa di Abu Omar, quello sospeso sei mesi dall’ordine, lo stesso che siede in parlamento e dunque fa tre lavori alla volta).

Sallusti però rimane inchiodato, ormai è tardi per far condannare un altro; allora inizia a piagnucolare che manco Parolisi, sulla libertà di stampa violata, sul regime che soffoca la libera opinione e via farneticando. In un primo momento ci casca pure Marco Travaglio. Lui, così attento e causidico, non può confondere opinione e diffamazione: così, pian piano, tenta una retromarcia ancora in atto, di fronte allo sdegno dei suoi lettori.

In televisione Alessandro Sallusti ( protagonista anche delle cronache rosa, facendosi fotografare un po’ con la moglie un po’ con la presunta fidanzata onorevole Santanché), ottiene i domiciliari a casa di quest’ultima , ma li evade per sfida ( a che? Nemmeno un detenuto gli ha chiesto solidarietà, ci mancherebbe). Dunque deve andare in carcere ( e si badi, poteva evitarlo con delle scuse e un risarcimento).

Oggi lo skinhead del giornalismo italiano  pigola che a San Vittore poteva andarci con le sue gambe, non c’era bisogno di entrare in redazione ( perché non l’ha fatto allora?) e lamenta che quel luogo sacro, ove si macinano idee eccelse, un vero pensatoio al servizio degli italiani, è un luogo “ferito”. Ovvero, specifica, non è la prima volta che questo accade, se si pensa che il fondatore de “Il Giornale” fu addirittura gambizzato.

Temiamo di aver capito male: egli oserebbe paragonarsi a Indro Montanelli? Quel bisbetico, sessista, reazionario, ma onesto e diretto principe del giornalismo italiano che dal Giornale , sua creatura, fu appunto cacciato da mister B, perché non voleva piegarsi ai diktati del ras di Arcore, che voleva dettare gli articoli?

“Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?” (letteralmente, sino a quando dunque, Catilina, abuserai della nostra pazienza?), vorremmo affermare ricorrendo a Cicerone, ma ci sembra una citazione spropositata per la levatura del personaggio, che merita al massimo una pernacchia di Eduardo.

Il punto è che personaggi come questo si fregiano del titolo di giornalisti, insultano, dileggiano, strombazzano fesserie a volte molto gravi, come in questo caso, senza che alcuno prenda fiato per espellerli dal consesso di chi ha diritto a scrivere e non dovrebbe trovare asilo nemmeno al Corriere dei Piccoli o sui fumetti giapponesi.

In altri paesi sarebbe a pelar patate da un pezzo, dove con il politicamente corretto, per fortuna, non si scherza; in altri, saprebbe che non la passerebbe liscia e non si azzarderebbe a scribacchiare assurdità; in altri ancora, con un minor grado di libertà, invece riteniamo che si troverebbe a suo agio: omaggiare il sire e padrone è la sua specialità. E non possiede nemmeno l’astuzia di un Feltri, che sa dosare quanto basta per non finire in situazioni penalmente rilevanti.

E speriamo che poi questo gigante non tenti di vendersi come giacobino che sfida i poteri o vittima: sarebbe un insulto a ch

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i, le lotte, le ha fatte davvero.

A questo dunque siamo arrivati: e che popolo potrà mai allevarsi, in questo ormai malinconico paese, se i guru son codesti?


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