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Quando scrivi sei disposto a rischiare?

Da Marcofre

savona - monumento marinaio

Quanto è libero un autore, nello scrivere la sua opera? Deve procedere coi piedi di piombo, perché esiste il rischio di spiazzare il lettore? Oppure il lettore deve praticare lo sforzo, e cercare di adattarsi?
Ma in fondo, cosa credi: che la lettura non debba essere anche (e soprattutto) sforzo?

Che cos’è? Ritorno al futuro?

Tutto queste domande perché un po’ di tempo fa mi sono imbattuto nel romanzo “La croce e la svastica” di George Mackay Brown. Ambientato nelle isole Orcadi, descrive della fine di Magnus (che poi sarebbe diventato San Magnus), ucciso dal cugino per ragioni di potere. L’aspetto interessante è che è ambientato nel 1100 circa, ma a un certo punto succede qualcosa…

“Continuate a remare” disse Finn ai rematori. “Siamo quasi arrivati”.

In questo momento siamo proprio nel 1100, anzi, siccome sono le ultime ore di vita di Magnus ci troviamo nell’aprile del 1115. E poi?

Per tutta la notte di domenica e questa mattina, hanno continuato a giungerci, da questa solitaria isola, voci di nuovi drammatici sviluppi nel confronto di pace tra la fazione Paulson e la fazione Erlendson. (…) C’è un black out nel flusso di notizie. (…) Dalle interviste a contadini e pescatori, e alle rispettive mogli, siamo riusciti a ricostruire un quadro abbastanza preciso, sebbene i punti essenziali, in assenza di dichiarazioni sia da parte dei Paulson sia da parte degli Erlendson, rimangano in gran parte vaghi.

Che diavolo è successo? D’un tratto, si cambia registro. Siamo ai giorni nostri (non proprio: il romanzo è degli anni Settanta), e anche il tono è differente, pare la cronaca giornalistica (televisiva) di quell’evento. Non siamo più nel 1100, ma nel XX secolo. E poi si tornerà di nuovo indietro nel tempo per poi fare un altro “balzo in avanti”. Ci ritroveremo nel 1945, all’interno di un campo di concentramento…

Grande Giove!

Hai presente quando leggi certi libri che ti dicono come “confezionare” un romanzo vincente? E fare i soldi a palate? Io ne ho incrociati qualcuno… Non dico che siano sbagliati dalla “A” alla “Z”, ma di certo hanno la presunzione di creare un prodotto di largo consumo. Che non deve essere arte perché altrimenti le persone battono in ritirata nemmeno avessero di fronte l’esercito di Attila.
Invece succede che… Esatto: un autore fa quello che vuole. Gioca? Forse: di certo non si cura molto delle leggi di mercato. Immagina invece che chi prende in mano un libro sia disposto a mettersi un po’ in gioco. Anche a faticare. E gli tira questi scherzi. Perché lo fa?

Forse l’autore vuole solo divertirsi

Immagino che certe domande debbano restare senza risposta. È affare di chi scrive. Perché diavolo Anna Karenina (e non solo lei), sogna uno strano contadino arruffato, che rivedrà pure mentre il treno la travolge? Cosa significa? Cosa simboleggia? E simboleggia qualcosa, oppure Tolstoj ce l’ha messo perché gli sembrava geniale? È necessario? O lo scrittore russo lo ha inserito per farsi due risate?

Vediamo questi professoroni universitari cosa si inventano per giustificare la sua presenza. Ah! Le risate che mi farò!

Sicuri che senza, l’opera non sia un capolavoro? Come? I dettagli contano e senza quel dettaglio sarebbe meno capolavoro? E dici questo perché lo credi, o solo perché esiste quel dettaglio e devi affermare esattamente questo?
Visto quante domande scaturiscono dalla presenza di un vecchietto nelle pagine di un libro?

Se non sei disposto a rischiare, non scrivere


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