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Quando un’azienda dal marchio prestigioso... / 2

Creato il 05 gennaio 2015 da Malvino
Con quel «si sa che l’omosessualità è creativa ed eccitante variante della condizione umana, ma non è naturale e non è incline a stabilire solidi legami famigliari o educativi» (Il Foglio, 2.1.2015), deve aver avuto qualche noia, e allora eccolo correre ai ripari. Il nodo della questione è quel «non è naturale», che suonava come «non è fisiologico», dunque come «patologico», buono solo ad invischiare Il Foglio della merda che tra poco spargerà La Croce. Ecco, allora, che Ferrara si affretta a spiegarci la differenza che c’è tra lui e Adinolfi: l’omosessualità è un peccato, pensare che sia una malattia è «una scemenza col botto», è «intolleranza ignorante». Ve l’avevo anticipato già a settembre, rammentate? «Quando un’azienda dal marchio prestigioso scopre che sul mercato cominciano a girare copie contraffatte dei suoi prodotti – scrivevo – all’inizio solitamente nicchia. È che all’inizio il prodotto contraffatto è quasi sempre imitazione così sciatta da esaltare i pregi di quello originale, che dalla copia trarrà dunque il vantaggio di riaffermare quanto sia inimitabile, dando così ragione del suo prezzo, scoraggiando l’acquisto di un articolo senza dubbio assai meno costoso, ma di qualità sensibilmente inferiore, che in più avrà la pecca di qualificare l’acquirente come uno sprovveduto o, peggio, come la più patetica versione della fashion victim. Chi copia, tuttavia, impara a farlo sempre meglio e presto per l’azienda dal marchio prestigioso comincia a diventare un problema serio, con gravi danni per gli utili, ma soprattutto per l’immagine. […] È solo allora che l’azienda dal marchio prestigioso comincerà a sentirsi lesa e a farsi forte degli strumenti che ne tutelano i legittimi interessi» (Quando un’azienda dal marchio prestigioso...Malvino, 16.9.2014). Ma era settembre, l’uscita de La Croce era ancora lontana, e «non siamo ancora a questo punto – scrivevo – con la contraffazione di Giuliano Ferrara che Mario Adinolfi smercia in provincia». Ora, invece, la cosa comincia a diventare imbarazzante, perché il prodotto contraffatto non si limita a far concorrenza, ma minaccia di svalutare l’originale. La dinamica di mercato è nota, gli esperti del settore dicono che ne tocca un buon 20-30%: il rischio, in questo caso, è che l’omofobia dozzinale di Adinolfi sollevi la questione di quanto veramente valga quella sofisticata di Ferrara. Perché – avvisavo – «solo a un occhio estremamente ingenuo possono sfuggire le differenze tra barba e barba, obesità e obesità, vocione e vocione, sicché tra l’eleganza di un fogliante e la cafonaggine di un vogliolamamma corre ancora la stessa differenza che una volta c’era tra i manici di vacchetta naturale e quelli in nappa lisciviata, tra le borchie in ottone e quelle in alluminio indorato [il parallelo era con le borse di Louis Vuitton originali e quelle contraffatte]. È differenza che al momento si coglie al primo colpo d’occhio, ma fossi in Ferrara comincerei a preoccuparmi». Si preoccupa solo alla vigilia dell’uscita de La Croce, Ferrara, e cerca di recuperare il ritardo, ovviamente con qualche affanno. Ma quale malattia! L’omosessualità è peccato, sennò tutto è malattia, e allora «tutti abbiamo bisogno di essere curati e soprattutto di essere lasciati in pace». E poi, che cazzo, parlarne come di una malattia non è «riportare la cultura cristiana e cattolica dentro le ossessioni ideologiche del tempo, mettendo la psicologia comportamentale e altre bellurie dentro la nuova evangelizzazione»? E in fondo non erano ricchioni pure Socrate, sant’Anselmo e il cardinale Newman? «Le tirate di san Paolo contro i sodomiti sono le benvenute, perché parlano di peccato e non di malattia», ma, per l’amor del cielo, si eviti «l’irrigidimento caricaturale e clinicizzante dei materiali culturali non negoziabili che furono lo stigma d’intelligenza di una lunga stagione cattolica e laica del contemporaneo». Ecco, qui sta il punto: La Croce è una caricatura de Il Foglio. E questo l’avevamo intuito. Quello che ci sorprende è che Ferrara sia assai più preoccupato di quanto fosse prevedibile aspettarsi. Come se Louis Vuitton volesse innanzitutto convincere se stesso che il pregio di una sua borsa stia tutta nel marchio, il che finisce per risultare ingeneroso verso la qualità dei materiali, che in questo editoriale di lunedì 5 gennaio sono daltronde esaltati in modo fiacco, quasi stanco. Ma forse si riuscirà a fare di meglio nei prossimi giorni. 

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