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Quante società multietniche fallite

Creato il 07 novembre 2010 da Andima
Quante società multietniche fallite

foto:flickr

Qualche settimana fa la Merkel si è lasciata andare in una dichiarazione insolita che ha lasciato un po' stupiti i media tedeschi e non solo: il modello multietnico tedesco è fallito. Fallito perché le maggiori comunità di immigrati (come per esempio quella turca) non tendono ad integrarsi con la cultura ed i valori tedeschi, fallito perché si pensava ad ondate temporanee e a ritorni nei paesi natali (ma davvero pensavano ai ritorni?). La cosa divertente però è che gli stranieri sono ancora benvenuti, perché fondamentali in alcune tipologie di lavori, perché c'è sempre bisogno di manodopera per incrementare la produttività di alcuni settori, perché la popolazione locale non basta o non risulta abbastanza per determinati impieghi.
Beh, probabilmente alla Merkel sarà anche sfuggito che gli immigranti non sono poi mica androidi, che terminato il lavoro (magari sottopagato? magari estenuante?) non si rinchiudono in un armadio in attesa del giorno dopo ma tornano a casa poi, dove c'è una famiglia, dove si parla la propria lingua, si mangiano i sapori di casa e fondamentalmente si tende a mantenere la stessa cultura, in maniera naturale. I problemi di integrazione ci possono essere, è chiaro, a partire dalla lingua, ma richiedono sicuramente tempo e non poco, probabilmente almeno tre generazioni per una integrazione quasi del tutto completa. Se domani mio figlio nascesse in Belgio, sarebbe belga ma soltanto dal punto di vista burocratico; frequentando poi scuole nel territorio e creando relazioni sociali, inizierebbe ad essere belga anche nella cultura, ad integrarsi naturalmente; suo figlio, a sua volta, sarebbe ancora più belga, ma non si può pretendere una integrazione immediata, forzata, ai primi che arrivano e a cui si da il benvenuto per i lavori più umili, si destinano a ghetti e zone degradate (perché sì, il ghetto nasce come necessità di ritrovare la propria comunità, spesso vincolati da fattori economici, ma anche perché si preferisce tenere lontano il diverso ostacolandone magari l'avvicinamento), ma si sbandiera al fallimento appena ci si accorge di una mancata integrazione. Poi, è ovvio, senza cifre, senza statistiche o analisi ben dichiarate, affermazioni di quel tipo rischiano di essere soltanto del facile populismo o, per altri, un'abile manovra politica nel richiamare alcuni umori della gente in vista di nuovi necessari consensi.
Peccato che appena qualche mese fa, eravamo tutti a celebrare l'impresa mondiale della nazionale tedesca multietnica, di giovani ed immigrati, che poteva puntare a vincere il torneo e che comunque lanciava un messaggio chiaro di integrazione e coesione. E invece è un fallimento. Peccato che appena qualche settimana prima il presidente tedesco richiamava all'unificazione ribadendo d'essere presidente anche delle minoranze, distaccandosi in un certo modo dalle correnti recenti in Europa di razzismo e xenofobia. E invece è un fallimento.
Ed è un fallimento anche in Belgio, perché la stessa affermazione viene poi ripresa anche dall'attuale (e temporaneo ma all'infinito) primo ministro belga, che si trova d'accordo con la Merkel: le politiche di integrazione non hanno funzionato come previsto. Beh, sì, a Bruxelles per esempio si possono incontrare comunità di mezzo mondo, ognuna con la sua fetta di città caratterizzata (o, se volete, ghettizzata), e l'integrazione spesso non sembra essere avvenuta o soltanto in parte. Ma probabilmente M. Leterme non pensava agli americani della base NATO che vivono in città, lavorano in un pezzo d'America ben isolato, mandano i figli a scuole americane, hanno ospedali americani e anche dopo 4 anni balbettano ancora le classiche frasi di francese da turista. E probabilmente non pensava neanche alle migliaia di impiegati della commissione europea che popolano un quartiere che di belga ha poco se non negli edifici d'art nouveau che pur vengono distrutti per far spazio a scrivanie e meeting.
Il fallimento lo si attribuisce alle classi più disagiate, per le quali l'integrazione è resa ancora più difficile da fattori economici, culturali, religiosi, sommati a pregiudizi e facili stereotipi di cronache nere e terrorismo.
Io ho provato ad immaginarmela una Bruxelles senza quegli immigrati da fallimento, ma ne vien fuori quasi una catastrofe, perché una società multietnica non può fallire, mentre si arricchisce di diversità e bellezza, si mischia in qualcosa di non sempre facile, non sempre quiete e pacifico, ma che alla lunga trova il suo equilibrio tra integrazione, condivisione e scoperte. Perché integrazione non può essere soltanto assimilare ed adattarsi, non può essere soltanto un processo unilaterale, ma anche partecipativo in modo attivo, condividendo e diffondendo parte delle proprie origini, arricchendo la società di quella multi-etnicità che no, non può essere un fallimento.


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