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Quanto è difficile la semplicità

Da Marcofre

Di recente mentre scrivevo un racconto, mi sono incagliato. Non si trattava però del tanto temuto “blocco dello scrittore”.
In realtà erano pagine del tutto prive di efficacia.
Ne sono uscito, certo. Tuttavia questa è stata l’occasione per riflettere su come spesso chi scrive persegua non la semplicità, ma la difficoltà.

Col termine “semplicità” non mi riferisco a una storia banale, oppure a una scrittura sciatta. Nulla di tutto questo.
Credo anzi che una delle difficoltà più tenaci sia riuscire a rendere semplice la storia che si scrive. Dove ogni parte fila bene, tutto è al suo posto e concorre nel creare un’esperienza di lettura improntata all’efficacia, al valore, all’interesse.

Si parte da un’immagine, e dopo ci si complica inutilmente la vita. Quando dopo un po’ di tempo si osserva quanto si è scritto, tre o quattro pagine con Pages, si resta sorpresi.

Non è quello che si voleva. Può sembrare una frase bislacca: in fondo quando si inizia a scrivere non si sa nulla della storia, della sua conclusione.
C’è un personaggio, che fa una certa cosa, oppure lo sorprendiamo in un momento particolare. Da lì in avanti è territorio sconosciuto.

Ma non è quello che si voleva. Si taglia, si modifica. Si cancella. Questo è un buon metodo: sempre. Se hai il sospetto che qualcosa non funzioni, cancella, taglia, elimina senza un briciolo di rimpianto.
Se contiene qualcosa di buono tornerà, altrimenti non lo incontrerai mai più. E sarà inutile piangerci sopra.

Il taglio soprattutto brutale, ha il grande vantaggio di far sobbalzare la storia sul lettino operatorio. È una buona cosa: vuol dire che non è ancora morta, c’è qualche speranza.
Altro vantaggio dell’amputazione: si ritorna al nucleo della storia, e a quel punto cambia tutto. Non perché ci sono maggiori possibilità di sviluppo.

Bensì perché rivedi la storia nella sua essenza, riconosci il suo volto più vero.
Uno dei rischi della scrittura è… lo scrittore. Costui si getta a capofitto a riempire pagine su pagine. Spesso va tutto bene e quello che si ottiene è esattamente ciò che si desiderava.

Non sempre però le ciambelle riescono col buco. Perché accade che la storia affoghi sotto l’entusiasmo di chi scrive; svolgimento, dialoghi e eventi si mettono in fila ma non sono quelli giusti.

Non stai raccontando una storia, ma offrendo al tuo ego un palcoscenico originale. Devi scendere da lì, tornare tra la polvere delle quinte. Lascia perdere anche quello che ti piace, dimentica entusiasmo, gloria e gli applausi: stai sbagliando tutto.

Ecco: torna a essere un artigiano che si muove lontano dalle luci. Osserva la materia grezza, senza gli addobbi con cui l’hai rivestita sino a modificarla radicalmente. Ascoltala: semplicemente ascoltala.


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