Magazine Cinema

Quarto potere

Creato il 29 settembre 2014 da Giorgioplacereani
Orson Welles Siamo nell’ufficio di Thatcher, furioso per una “bufala” giornalistica inventata dal giovane Kane. In questa scena la curiosità a lungo protratta dello spettatore è finalmente esaudita, con l’apparizione di Welles “al naturale”, giovane e sorridente, dopo che lo abbiamo visto truccato da vecchio morente nell’apertura e poi sotto varie forme di trucco nel cinegiornale (la varietà illusionistica e teatrale dei volti di Kane a varie età nel film replica il fervore dimostrativo della magia dello spettacolo che indirizza l’opera di Welles. La parte di Kane è una vera orgia del trucco). E’ un momento fortemente enunciativo. Citizen Kane (Quarto potere) il pubblico deve vederlo in quanto film di Welles, il genio del teatro e della radio approdato a Hollywood, quello che dopo War of the Worlds i giornali hanno a lungo chiamato “il marziano”. E Kane dice: “Non capisco niente di giornali, signor Thatcher, quindi provo quello che mi viene in testa”. Basta mettere “cinema” al posto di “giornali”, e l’identificazione è completa; è lampante il riferimento autoironico alla sua avventura hollywoodiana appena iniziata. Del resto, potremmo osservare, se Orson Welles è il golden boy della RKO, l’appellativo si attaglia perfettamente anche a Kane - la cui ricchezza viene, in origine, da una miniera d’oro. S’intende che l’episodio del telegramma all’inviato a Cuba ci riporta immediatamente a Hearst. Kane è una figura doppia. Non si tratta certo di cancellare idealmente il nome Hearst da Citizen Kaneper scrivere al suo posto Welles; il riferimento a Hearst, e quello (crudelmente ingiusto) a Marion Davies nel film sono scontati, attizzati dall’odio del co-sceneggiatore Herman Mankiewicz. Ma Citizen Kane, che all’inizio doveva chiamarsi American, è molto di più; è una gigantesca autobiografia americana(come lo sarà il film col quale forma un dittico, L’orgoglio degli Amberson) e in questa anche Welles ha la sua parte. Ripensiamo a come in tutta la sua carriera Welles abbia costruito i propri personaggi quali doppi che esprimono una parte di sé.Tanto Welles è elegantemente evasivo quando si esprime nelle interviste, quanto è chirurgicamente lucido quando si esamina nella proiezione dei suoi personaggi. “In fondo oggi ha rifatto la prima pagina solo 4 volte”: una battuta che, a sentirla oggi, non possiamo non vedere come puro autoritratto, se pensiamo che per tutta la vita la caratteristica profonda di Welles - e la rovina dei suoi rapporti coi produttori - sarà l’ossessione di rifare continuamente il film (dice Leland/Joseph Cotten più tardi: “Non ha mai finito niente in vita sua - salvo il mio articolo”; altra battuta che mette i brividi). Quando Leland ubriaco, dopo la sconfitta elettorale, critica il paternalismo di Kane e gli preconizza un triste futuro, questo non fa pensare solo al magnate della sceneggiatura. Perché la massima grandezza del venticinquenne Welles in Citizen Kaneè proprio di amplificare i suoi tratti autobiografici in una proiezione futura; si può dire che sotto la maschera (doppia, anzi, multipla) di Kane Welles mette allusivamente in scena non solo il proprio presente ma anche i suoi timori, un futuro possibile, una propria parte negativa che il film è un mezzo per isolare, esaminare, esorcizzare nella creazione artistica. Il tema del fallimento esistenziale, e dell’auto-esilio in un artificiale “regno della delusione” (qui l’eternamente incompiuta Xanadu, macchina celibe architettonica), è talmente insistente in Welles fin dal primo film che non si può non pensare a un terrore continuamente presente - anche in questo inizio pieno di speranza - sotto il sorriso un po’ sfacciato del golden boy.
(Citizen Welles, a cura di Giorgio Placereani, Udine-Pordenone 2005)

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :