Quegli gli anni belli
di Iannozzi Giuseppe aka King Lear
per Jack Kerouac,
maestro dell’eternità dorata
Noi si viveva male, cioè ci arrangiavamo andando e venendo da posti tristi che solo il diavolo aveva coraggio d’esplorare come (peri)patetico filosofo figlio di e figlio pure di e anche un po’ così che però non si sa dire bene: quando si era fortunati capitava pure che noi lo si incontrasse, così scambiavamo quattro chiacchiere e qualcuno tentava indarno il colpo di coda di portargli via un po’ di Vergine Bianca, ma mai nulla a parte i soliti cazzotti e le fughe precipitose a gambe levate. I più fortunati di noi c’havevano un diavolo per capello, almeno quelli stavano con la mente occupata, mentre i più sfigati non c’havevano proprio niente e si menavano ad inventarsi storie fatte di nulla. Il più ricco possedeva una copia scalcagnata de “I sotterranei” di Kerouac, unico libro letto ormai da tutti, ma il possessore era ricco e ne andava fiero anche se le pagine a forza di passarle di mano in mano erano tutte gialle e consunte che parevano carta da culo. Adusi a farci la nostra vita per quanto magra fosse, noi mai pensavamo che si potesse essere diversamente da com’eravamo perché noi si era incastrati nei nostri luoghi comuni di dirci che domani saremmo stati qualcuno. Ogni tanto spuntava un novello dante o un leopardi che ci deliziava con lisergici versi, ma poi la tentazione era di spenderli via in una storia nata male, così giù a recitar quei versi alle ragazze che camminavano lungo le gioiellate strade del Centro; e noi si prendeva solo pubblico ludibrio, e sempre in culo a noi impotente rabbia mentre in bocca, in sussurri di blues, si masticavano bigoli, e i loro culi andavano via lontani. Cionondimeno erano anni quelli che se ci ripenso oggi… – ma a che servirebbe? – …erano anni quelli che chupa-chups in bocca e sigarette nei tempi di rara grassa addomesticavano altre voglie impossibili da soddisfare, ma se non altro qualche cosa in bocca ce l’avevamo. Iochesono – dio minuscolo che sei! – non credevo che gli anni amari li avrei considerati con il senno di poi i migliori, forse gli autentici, quelli che per tutta la vita avrebbero accompagnato l’esistere. Noi non si faceva praticamente niente da mane a sera: le possibilità non ce l’avevamo, invece nodi gordiani da sbrogliare tanti, & non ce ne preoccupavamo, non più di tanto, o almeno fingevamo che non c’era motivo perché, e allora tanto valeva vivere alla giornata, poi il sole se ne moriva all’occaso o a occidente, non ricordo più bene, e per noi era lo stesso, sempre giorno o notte, manco ce ne rendevamo conto. Le donne ci facevano male, perché non ne possedevamo una; e una, fra tutti, ci sarebbe bastata, perché noi non si era pignoli, perché noi a certe sottilette del buon costume non ci facevamo gran caso magri com’eravamo, & poi, perché mai una non ci avrebbe potuto dare tutto l’amore di cui avevamo bisogno? Mah, tanto una non l’abbiamo avuta: ci siamo dovuti accontentare della Madonna, un ritrattino infimo tutto stemperato che i colori erano un grumo nero come un ragno, ma noi pensavamo al sorriso che forse aveva e se anche non fosse stato sorriso ma ghigno, le pippe erano la nostra preghiera tornando a quelle donne ammirate a camminare le strade del Centro. Le gambe, impazzivamo, certe volte eravamo tempeste di ormoni che manco il latte acido ingollato freddo riusciva a calmarci con furibondo maldistomaco. E furono quegli gli anni belli ma non lo si sapeva, e adesso si proietta non-so-che-cosa-o-chi, ma tanto ormai si è vecchi coi rimpianti e una fede in… Sapete, non è importante che si dica oltre. E’ tutto per quanto poco sia, sì, è tutto. Ma vi amo ancora come allora, come allora… anni… ragazze… diavoli… angeli… benedizioni… maledizioni… 0.000000 0.000000