Quei bravi ragazzi (Goodfellas)
Genere: Gangster
Regia: Martin Scorsese
Cast: Ray Liotta, Robert De Niro, Joe Pesci, Lorraine Bracco, Paul Sorvino.
1990
140 min
Con Toro Scatenato (1980) e Fuori orario (1985), Martin Scorsese ha dimostrato una notevole maturazione artistica, cresciuta in modo ancora più intelligente e ironico con Quei bravi ragazzi, che mescola in qualche modo i suoi orrori con una profonda vena di umorismo mordente, scorre con l’esuberanza di un regista che ha inchiodato ogni dettaglio e ha messo in scena un nuovo stile narrativo.
I suoi personaggi, un quartetto selvaggio che include Robert De Niro, un agghiacciante Joe Pesci, Paul Sorvino e Ray Liotta sono gli stessi che ha preso in considerazione per Mean Streets: i ”Wiseguys” del suo quartiere, diversi da lui e dotati di una brutalità che spesso scivola fuori mano.
Ci sono essenzialmente due tipi di film sulla mafia: quelli che idealizzano la vita e quelli che la raffigurano con viscerale chiarezza. Il più noto e più completo di questi film, Il Padrino, picchetta saldamente il suo territorio nella prima area, lasciando ai goodfellas l’altra porzione. Entrambi i film sono magnificamente realizzati, personaggi dimensionali e atmosfere forti, ma lo sforzo di Francis Ford Coppola è quello di abbracciare il mito del gangster, mentre l’esplorazione di Scorsese è molto più pragmatica.
La violenza è una componente fondamentale di ciascuna delle due pellicole, ma è un compagno più brutale in Quei bravi ragazzi che ne Il Padrino. Chiaramente, non solo stiamo parlando di due decenni diversi in fatto di produzione ma di due epoche completamente distanti in fatto di sceneggiato. Ovviamente i personaggi grandiosi di Coppola si ritrovano gomito a gomito con senatori e papi, sono come figure da grand-opera. I gangster di Scorsese, i suoi wiseguys, sono livellati dalla strada, sono roba da canzone popolare che Scorsese tesse insieme ad un ambiente familiare molto vicino al suo.
Quei bravi ragazzi è (liberamente) tratto da una storia vera. Sviluppa lo scheletro della sceneggiatura dagli eventi descritti nel romanzo Wiseguy di Nicholas Pileggi (che ha anche co-scritto la sceneggiatura). Scorsese, utilizzando i fatti di un famigerato caso degli anni ’80 che coinvolge un importante informatore, sviluppa uno studio ricco e multi laterale dei tre personaggi e della loro cultura. E’ un’affascinante esplorazione di uno stile di vita che ha ingannato gli americani per la maggior parte del secolo scorso, nei film, nei romanzi o in televisione.
La storia si apre con l’introduzione di un tredicenne Henry Hill (interpretato da Christopher Serrone da giovane e da Ray Liotta da adulto), il nostro narratore. Siamo a New York negli anni ’50, e diventare un membro della mafia si presenta come una delle opportunità di lavoro più interessanti in circolazione. ”Che io mi ricordi, ho sempre voluto fare il gangster” e non c’è da stupirsi, per un ragazzo appena entrato nel suo secondo decennio di vita questi uomini hanno tutto: amici, ragazze, auto, contanti, e soprattutto, rispetto. “Fare il gangster è sempre stato meglio che fare il presidente degli Stati Uniti.” Henry persegue il suo obiettivo e ben presto diventa un fattorino per il boss Paul Cicero (Paul Sorvino). Il suo primo assaggio di vita è un’esperienza inebriante. “Sono stato trattato come un adulto. Stavo vivendo un sogno, a 13 anni, facevo più soldi rispetto alla maggior parte degli adulti del mio quartiere.”
Nel 1970, Henry raggiunge una posizione di una certa importanza per l’organizzazione. Lui e i suoi due più stretti collaboratori, la testa calda Tommy DeVito (Joe Pesci) e il meticoloso Jimmy Conway (De Niro), sono coinvolti nel traffico di droga. Henry, ora sposato con una bella ragazza ebrea di nome Karen (Lorraine Bracco), conduce una vita sempre più spericolata mentre viene coinvolto nell’omicidio di un gangster e si ritrova a trascorrere un periodo in carcere.
Scorsese, al top della forma, rende il ritorno alle strade della sua giovinezza un tour straziante all’inferno. L’adulto Henry corteggia Karen, cerca di impressionarla con una serata al Copacabana. Lascia la costosissima macchina al parcheggiatore, salta la lunga coda di persone in attesa di entrare, conduce Karen per una porta laterale lasciando una mancia all’uomo alla porta e la guida giù per una scala, in corridoi labirintici pieni di figure indistinte fino a quando finalmente emergono, dopo una scorciatoia attraverso la cucina, nella sala, dove il caposala riconosce il nostro protagonista e ordina un tavolo da posizionare in prima fila. Henry, sotto gli sguardi ammirati della folla, dice a Karen di lavorare nell’edilizia mentre la scena continua in quell’unico incredibile shot, un piano sequenza talmente dettagliato che sembra accompagnare il pubblico all’interno del ristorante, ma soprattutto nella discesa dalle tenebre alla luce di Henry, il suo sogno che ha realizzato vendendo l’anima e portando con se l’innocente Karen.
Eppure, è l’oscurità che prevale. L’appartenenza ad una determinata famiglia è sinonimo di restrizioni. Non c’è vita al di fuori di essa. Come moglie di Henry, Karen è sconvolta in un primo momento dalle improvvise esplosioni di violenza che fanno parte della professione del marito. Ma pistole, droga e offerte in denaro diventano presto parte della sua vita, finendo con accettare l’infedeltà di Henry. Scorsese è impareggiabile nei brutali dettagli del caso, e i bravi ragazzi hanno ormai sviluppato un incontrollato riflesso naturale alla violenza. In una scena agghiacciante, Henry osserva Jimmy e Tommy mangiare a casa della madre di quest’ultimo, in piena serenità, e poi sparare e colpire un nemico inerme che avevano intrappolato nel bagagliaio dell’auto.
Scorsese, il primo a vincere il Leone d’Argento per la miglior regia al festival del cinema di Venezia, è il regista perfetto per questo tipo di materiale. La grande esperienza formativa della sua infanzia a New York parla da sola: un bambino asmatico che non poteva fare sport, la cui salute era troppo precaria per permettergli di condurre un’infanzia normale, è stato spesso trascurato, ma non si è mai perso nulla delle movimentate strade di Little Italy. Quella era la vita che voleva condurre racconta il personaggio di Liotta. Pensiero che può provenire da Henry e possiamo trovare nel libro di Pileggi, ma il pensiero è anche di Scorsese, di quel bambino affacciato alla finestra, a guardare i gangster di quartiere.
Il film è una lenta espansione attraverso i livelli di mafia, con i personaggi introdotti casualmente e alcuni di loro, in realtà, sviluppati quasi alla fine del racconto. Incontriamo il boss Paul Cicero, Jimmy Conway, un uomo che ruba per il puro amore di rubare, e poi Tommy DeVito, un ragazzo simpatico, tranne per il suo temperamento temibile che può esplodere in un secondo, con conseguenze fatali. Li seguiamo attraverso 30 anni, in un primo momento, attraverso anni di potere incontrastato, poi attraverso anni di declino.
Quei bravi ragazzi analizza il senso di colpa più di ogni altra cosa. Ma non è un semplice gioco di moralità, in cui il bene è stabilito e il senso di colpa è la reazione appropriata verso il male. No, l’eroe di questo film si sente in colpa per non sostenere il codice mafioso, è colpevole del peccato di tradimento. E la sua punizione è l’esilio, nel programma di protezione testimoni, dove nessuno ha un nome e il caposala di certo non lo sa.
Nel corso degli anni, pochi registi hanno mostrato le stesse capacità di Scorsese quando si tratta di utilizzare la musica pop-rock per impostare una scena o cementare l’atmosfera. In molte occasioni sembra quasi che il film prescinda dalle musiche, non il contrario.
Quei bravi ragazzi inizia con calma, ma dopo una grande quantità di sangue versato prende il volo. Alcune violenti sequenze sono scioccanti. Una morte in particolare, si presenta come una sorpresa totale, e lascia lo spettatore momentaneamente stordito e disorientato. Anche se il film non si basa sui colpi di scena per tenere l’attenzione dello spettatore – sono la forza e l’ampiezza della storia e dei personaggi a farlo – ma uno dei tratti più forti del film è il senso di incertezza che pesa su ogni fotogramma. La tattica adoperata da Scorsese è quella di utilizzare due narratori (Henry viene sostituito da Karen), lasciando aperta la possibilità che Henry potrebbe non sopravvivere alla pellicola.
I critici cinematografici potranno discutere su quale capolavoro rappresenti Scorsese al suo meglio: Taxi Driver, Toro scatenato , o Goodfellas. Ogni film ha i suoi feroci sostenitori, ma individuarne uno a scapito degli altri due sembra essere un’impresa inutile e controproducente. Taxi Driver e Toro Scatenato sono concentrati su un solo individuo rispetto a Quei bravi ragazzi, che esamina come la cultura modella valori, scelte di vita e relazioni. Presi insieme, questi tre offrono una comprensione di temi e idee che sono più vicini al cuore di Scorsese. Preso singolarmente, ognuno rappresenta una straordinaria realizzazione di immagini in movimento, dai primi fotogrammi violenti fino alla splendida sequenza finale.
★★★★★