Emerge nelle testimonianze a viva voce (Tina Costa, Bice Tanno) e in quelle scritte uno squarcio dell’Italia di allora dove non mancavano fenomeni che spesso ricordano quelli odierni. Come le esperienze di lavoro precario o di “mercato delle braccia” degli edili in Piazza Vittorio. Per non parlare degli approdati nella capitale da altre terre del Mezzogiorno, considerati “clandestini” timorosi del “foglio di via” perché non residenti. La differenza tra quei ventenni del 1960 e i giovani del 2012 è data soprattutto da una, chiamiamola così, condizione. Le “magliette a strisce” certo erano più povere e disagiate. Ma, come osserva il magazziniere Bruno Raccio, avevano una prospettiva di miglioramento. Oggi nelle nuove generazioni regna l’angoscia mentre si diffonde l’antipolitica e non solo per colpa dei cosiddetti “poteri forti”. Osserva Mario Pesce, ferroviere: «La politica è vista come un modo per sistemarsi, per fare carriera, per godere di determinati privilegi».
Così qualunquismo, populismo, possono divenire anticamera di nuovi autoritarismi. L’interrogativo investe questa delicata fase di perdita dei valori, con un governo tecnico che in Italia cerca di riparare i guai politici del passato, con il rischio dell’estinguersi di una sana passione politica. Ha scritto in un lucido saggio Riccardo Terzi: «La formazione del governo Monti, può avere paradossalmente un effetto provvidenziale, perché finalmente sono uscite di scena, almeno per ora, le retoriche, le demagogie, le contorsioni di un bipolarismo sgangherato, e appare in tutta la sua crudezza il vuoto della politica, e la necessità di riempirlo con dei contenuti, con dei progetti… Può essere l’occasione per rimettere la politica con in piedi per terra… ».