Quei giovani dalle magliette a strisce

Da Brunougolini
C’è stata, nel passato, un’epoca in cui i giovani erano diventati protagonisti, non solo nelle piazze ma anche nella società in generale. Sono i “favolosi” anni sessanta. Un libro racconta una pagina significativa di quell’epoca. Siamo a luglio del 1960, c’è un governo presieduto dal dc Tambroni appoggiato dal Msi (neofascisti). Già a Genova si è svolta una mezza insurrezione. A Roma, porta San Paolo, un corteo composto in larghissima misura da ventenni-trentenni si scontra con i cortei dei carabinieri a cavallo guidati da Raimondo D’Inzeo. «Selvaggio attacco», titola l’Unità del 7 luglio annunciando lo sciopero generale. Centinaia i feriti e centinaia gli arrestati. Oggi molti di loro sono diventati i protagonisti di un bel libro di Giuseppe Sircana Un giorno e una vita (Ediesse) e hanno anche dato luogo a una recensione collettiva con Claudio Di Berardino, Guglielmo Epifani, Adolfo Pepe.
Emerge nelle testimonianze a viva voce (Tina Costa, Bice Tanno) e in quelle scritte uno squarcio dell’Italia di allora dove non mancavano fenomeni che spesso ricordano quelli odierni. Come le esperienze di lavoro precario o di “mercato delle braccia” degli edili in Piazza Vittorio. Per non parlare degli approdati nella capitale da altre terre del Mezzogiorno, considerati “clandestini” timorosi del “foglio di via” perché non residenti. La differenza tra quei ventenni del 1960 e i giovani del 2012 è data soprattutto da una, chiamiamola così, condizione. Le “magliette a strisce” certo erano più povere e disagiate. Ma, come osserva il magazziniere Bruno Raccio, avevano una prospettiva di miglioramento. Oggi nelle nuove generazioni regna l’angoscia mentre si diffonde l’antipolitica e non solo per colpa dei cosiddetti “poteri forti”. Osserva Mario Pesce, ferroviere: «La politica è vista come un modo per sistemarsi, per fare carriera, per godere di determinati privilegi».
Così qualunquismo, populismo, possono divenire anticamera di nuovi autoritarismi. L’interrogativo investe questa delicata fase di perdita dei valori, con un governo tecnico che in Italia cerca di riparare i guai politici del passato, con il rischio dell’estinguersi di una sana passione politica. Ha scritto in un lucido saggio Riccardo Terzi: «La formazione del governo Monti, può avere paradossalmente un effetto provvidenziale, perché finalmente sono uscite di scena, almeno per ora, le retoriche, le demagogie, le contorsioni di un bipolarismo sgangherato, e appare in tutta la sua crudezza il vuoto della politica, e la necessità di riempirlo con dei contenuti, con dei progetti… Può essere l’occasione per rimettere la politica con in piedi per terra… ».

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