Accadde nella notte del 26 aprile 1986 e la notizia si diffuse durante la giornata successiva. Era scoppiato il reattore numero 4 della centrale nucleare di Černobyl'. Černobyl'. Un buco di posto che, prima d'allora, manco avevamo idea esistesse. Le carte geografiche dei telegiornali indicavano appena un puntolino perso e insignificante. D'altra parte, lo sconfinato territorio che si stendeva tra Europa e Asia veniva nominato semplicemente Unione Sovietica - o Russia, per i più imprecisi. L'Unione Sovietica era un concetto gigantesco a designare tutto e nulla, una cortina sotto la quale si trovava un mondo distante, ignoto. Il neoeletto segretario del Pcus Michail Sergeevič Gorbačëv ispirava simpatia, eppure la sua politica di riforme (Glasnost e Perestrojka le parole d'ordine) sembrava non potesse scalfire la durezza adamantina della decrepita nomenklatura brežneviana.
Ricordo che in quei giorni di fine aprile non smetteva mai di piovere. Venivano giù acquate grosse e fitte da cui i vestiti stentavano ad asciugare. Sotto l’ombrello aperto reggevo il Lenti, manuale di Biochimica incubo di qualche generazione di studenti universitari. Ogni mattina Lidia attendeva sorridente in Via Michelangelo e, spesso, marinavamo le lezioni per correre a casa sua a fare l’amore. Stavo entrando nel mondo degli adulti col piglio spavaldo del giovane esploratore alle prese con una nuova avventura. C'era solamente quella strana spossatezza che ogni sera s'impadroniva di me. Hai un soffio cardiaco mai sentito prima, aveva detto zio auscultando il torace con un filo di preoccupazione. Ma non mi andava di pensarci su. Avevo troppo da vivere.
Černobyl', dunque. Non uno spettro, come molti avevano temuto (o sperato) fino a quel momento, ma una nube si stava aggirando per l’Europa. Nei giorni seguenti cominciammo a prendere confidenza con elementi chimici che, fino a qualche tempo prima, erano soltanto nomi sulla tavola di Mendeleev. Xeno, Iodio, Plutonio, Cesio. Soprattutto il Cesio prese a comparire nei notiziari e in molti discorsi variamente preoccupati della gente comune. Il consiglio, ripetuto a ogni piè sospinto, era di non consumare le verdure a foglia larga. Altre voci si sovrapponevano e aggiungevano alla lista latte fresco, funghi, persino pollame.
L’emergenza durò qualche settimana, poi, bene o male, ritornammo alla normalità. L’incendio sviluppatosi nella centrale nucleare fu spento dopo alcuni giorni e, nei mesi successivi, essa venne avvolta da un sarcofago di cemento e acciaio. La nube di elementi chimici fuoriuscita dal reattore e sospinta dai venti era intanto ricaduta su un’area vastissima. Furono pesantemente contaminati 150 mila chilometri quadrati, coinvolti direttamente i territori dell’Ucraina e della Bielorussia. Centinaia di migliaia di persone dovettero lasciare per sempre le proprie abitazioni. Venne raggiunta l'Europa orientale, la Scandinavia, i Balcani e - con livelli di contaminazione via via inferiori - anche l'Italia, la Francia, la Germania. Nell'atmosfera risultarono immessi 45 milioni di curie di Xeno133, 7 milioni di curie di Iodio131, un milione di Cesio134 e 137.
Le conseguenze sulla salute si manifestarono nel tempo che seguì: tumori solidi, leucemie, malformazioni. Sono stati accertati 65 morti, quelli presunti stimati in qualche decina di migliaia: ma sui dati, e sul numero di quanti si ammaleranno ancora, stime e controstime si succedono da un quarto di secolo senza soluzione di continuo. L'unica cosa certa è che le conseguenze continueranno a rendersi evidenti nei prossimi decenni. La radioattività nella regione intorno a Černobyl' è tuttora sopra i livelli di sicurezza. Pochi lo sanno, o se ne rendono conto, ma l'emergenza rimane. Isotopi come il Cesio hanno un tempo di dimezzamento molto lungo. Giacciono pazienti per decenni nel terreno, nelle rocce, nelle piante, negli animali, e da qui fuoriescono, lentamente, incessantemente, per sventura e insegnamento agli uomini.