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Quel gusto antispecista “d’Europe Continentale”…

Creato il 25 maggio 2012 da Alby87

I filosofi animalisti rappresentano sempre immancabilmente il punto più basso delle rispettive correnti di pensiero di riferimento, di cui esasperano i difetti intrinseci.
Quelli anglosassoni sono dei volgarizzatori di infimo livello la cui banalità di linguaggio e pensiero rasenta la cafonaggine per un lettore con un minimo di educazione al ragionamento. Quelli europei però sono perfino peggio, perché se gli anglosassoni argomentano malissimo, quelli europei non argomentano affatto, loro si limitano a “rivelare” profonde verità attraverso lunghissime supercazzole di cui non frega mai niente a nessuno.
Vi ha innervositi che un Nietzsche o un Foucault, pur nella sua genialità, perdesse rigore argomentativo e scientifico nell’esposizione delle sue analisi? Qui il rigore non lo vedrete neanche per errore, né sullo sfondo potrete cogliere un solo barlume dell’originalità e della bellezza di chi davvero, pur con gli umani limiti, possedeva il genio in sé. Pensavate che fosse troppo facile argomentare in risposta a Singer? Qui non dovrete tanto sforzo, visto che ci si addentra nei regni magici della metafisica e della fantapsicologia. Potete scrivere un libro fantasy e conterà come confutazione.
Di buono c’è che nelle loro astruserie loro se la cantano e loro se la suonano. Singer e Regan sono cafoni in piena regola, sporchi dalla testa ai piedi; tamarri per tamarri, perfettamente consapevoli di esserlo. E in un mondo di tamarri, ciò li rende pericolosi. Ma l’antispecismo e l’animalismo made in Italy hanno tutto un altro sapore: se ne percepisce chiaramente il gusto barocco, i condimenti esagerati, l’autocompiacimento profetico e deliziosamente intellettualoido-borghese di chi è convinto di star dicendo qualcosa di estremamente rilevante, ma senza alcuna necessità non solo di renderlo accessibile ai più, quanto perfino di darvi una base sostanziale al di là del puro filosofeggiare, che ben diverso è dal filosofare, e fortunatamente non produce mai nulla, perché di per sé è solo uno scarto di lavorazione.

Ma lo splendore di questi individui, la loro unicità, risiede nella loro capacità di concretizzare uno stereotipo così perfetto che lo si poteva credere esistente soltanto in un film di Woody Allen. L’intellettuale perfettamente e completamente inutile, che scrive libri che nessun altro vuol leggere, su argomenti che nessun altro capisce, in un linguaggio che nessun altro parla, per difendere cause di cui a nessun altro importa, in modi che in nessuna parte del multiverso sarebbero realizzabili. E attinge a questo scopo non già alle proprie inesistenti doti intellettuali, bensì ai succhi rarefatti di idee appartenute ad altri e ormai sepolte, le cui tombe disertano ormai anche i parenti più stretti. Ma ciò nonostante si sente un eroe. Troppo, troppo meravigliosamente kitsch, troppo sopra le righe per crederci; inutilizzabile ad ogni scopo, finanche il più astratto; inutile in ogni senso, finanche il più ampio! Eppure si materializza innanzi a noi!

Va bene, va bene così. Abbiamo bisogno di gente superflua, se mi si perdona l’ossimoro. Perfino a questo monumento al superfluo, a questa spuma galleggiante della società del benessere, dobbiamo qualcosa; quanto meno un tributo alla sua rara estetica è dovuto; possiamo esibirlo come un gioiello, come un simbolo del lusso estremo che possiamo concederci, come la scimmietta o l’animale esotico del principe, come lo spazzolone del cesso ricoperto di diamanti dell’emiro arabo.

E inoltre, non dimentichiamo, Bisogna produrre mille intellettualoidi di maniera perché sbocci un solo fiore del pensiero critico, perché un genio faccia fare un passo avanti allo spirito dell’umanità. Attendiamo che la primavera schiuda i suoi petali…

Divertiti ossequi



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