Casa è quel luogo in cui ci si sente al sicuro, dove si può girare con addosso solo mutande e calzetti fregandosene di essere visti dal vicino, dove il riposo è sacro e dove si torna sempre dopo una lunga giornata. Mentre viaggio, però, la parola “casa” cambia di significato, o meglio, tendo ad associarla a diverse realtà, siano essere rappresentate da una stanza d’albergo, di ostello di appartamento.
Il luogo che chiamiamo “casa” cambia, una volta può essere il luogo dove si è nati, la casa dove si vive al momento, l’albergo in cui si alloggia durante un viaggio, l’angolo dove si è nascosto il sacco a pelo per la notte, eppure, usiamo una sola parola per indicare posti completamente diversi, ma che in un certo senso, in un momento specifico della nostra vita, assumono lo stesso significato: sono quel luogo dove si torna.
Forse la mia è una definizione un po’ semplicistica, forse sono abbastanza girovaga da avere la necessità di identificare una “base” a cui fare ritorno alla fine delle mie giornate e avere comunque la voglia di sentirmi come a casa.
C’è chi si definisce cittadino del mondo, io non credo di esserlo, preferisco disegnarmi come una veneziana a piedi per il mondo, casa mia è Venezia e lo sarà sempre anche se un giorno dovessi allontanarmi qui. Quel luogo che chiamiamo casa ha un valore diverso per ognuno di noi, ma sicuramente rappresenta un porto sicuro dove affogare i dispiaceri e un cassetto dove conservare i proprio sogni.
Quel luogo chiamato casa ci aspetta, ci saluta appena chiudiamo la porta e ci prepara il té quando torniamo stanchi e svogliati, è dove la notte dormiamo tranquilli, dove ci fidiamo a lasciare le “nostre cose”, dove la notte passa tranquilla anche se il soffitto è un cielo tempestato di stelle.
“Torniamo a casa”, “andiamo a casa” due frasi che, fateci caso, ripetiamo in continuazione, anche quando ci troviamo in viaggio. In fondo credo che ognuno di noi ricerchi nel luogo in cui visita un modo per sentirsi “a casa”, è una sorta di autodifesa, un modo per riuscire anche a vivere meglio il proprio viaggio o forse una maniera per cercare di rendere un luogo come un albergo, un ostello, un appartamento preso in affitto qualcosa di accogliente anche se, in n certo senso, sempre freddo.
Poi, certo, se vi capita di vivere in un ostello per più di un mese, come la sottoscritta quando è partita per l’Australia con il Working Holiday Visa, beh, vi sfido io a non chiamarlo “casa”, anche se il bagno è un buco ed è in condivisione con gli altri ospiti, ma alla fine, anche gli stessi ospiti diventano un po’ la propria “famiglia”, soprattutto se si viaggia da soli.
Per approfondire: Dormire in ostello – Condivisione e bassi costi
Viene così naturale utilizzare la parola “casa” per indicare la propria stanza d’albergo… dite che potremmo aggiungerlo alle manie di chi viaggia?