A Brooklin, era un pomeriggio di un giorno da cani dell’agosto 1972 quando John Wojtowicz improvvisò una rapina in banca per rimediare i 2700 dollari necessari all’operazione di cambio sesso del proprio partner. Anzi, del proprio consorte, perchè John e Ernest (che poi diventerà Elizabeth) si erano sposati il 4 dicembre 1971 a Greenwich Village, in una cerimonia pubblica, una cerimonia “cattolica” preciserà John. Le cose non andarono lisce e da una realtà tragicomica si passò ad un cult movie di Hollywood, con una magistrale interpretazione di un attore agli esordi, tale Al Pacino. Il film comincia con una nota, “basato su una storia vera”. Con tale premessa è impossibile non rimanere incollati allo schermo per vedere come andranno a finire le cose.
Al Pacino / John Wojtowicz
Evitando lo spoiler per i pochi che negli ultimi quarantanni non hanno avuto occasione di vedere questo bel film, colpiscono gli elementi di cruda verità della storia. L’improvvisato rapinatore e il suo complice si sentono fuori dalla società, per una serie di motivi, anche molto diversi. Quella che è una scelta di rabbia sociale, diventa per un lungo pomeriggio il momento del riscatto.
La storia è apparentemente banale, per il metro di Holliwood. I due sono rapinatori impacciati e poco dopo l’irruzione si ritrovano assediati da un esercito di poliziotti, federali, da una folla di curiosi e da un altrettanto numeroso contingente di cameramen, fotografi e reporter. Comincia la trattativa live e si dipana la storia umana dei due ‘criminali’, che in poco tempo stringono un legame solidale con i loro ostaggi, anche per la loro estrema umanità, e in breve tempo diventano un simbolo di ribellione per la folla assiepata dietro alle barriere della polizia, fuori dalla banca. John/Al Pacino grida qualche frase a effetto contro il sistema e la polizia, osannato dalla folla, e distrugge in diretta i giornalisti che cercano di intervistarli. Un Beppe Grillo all’americana.
Non si può non affezionarsi ai protagonisti della vicenda, e dato che si tratta di una storia vera, si vuole sapere come è finita “nella vita reale”.
Beppe Grillo
Potenza di internet, le curiosità sono soddisfatte in fretta, però chi volesse godersi il film senza spoiler dovrebbe fermarsi qua. Infatti, nelle scene finali, il complice di John, tal Salvatore “Sal” Antonio Naturile di chiara origine italiana, interpretato da un monumentale John Cazale, viene freddato nel blitz dell’FBI. Sal aveva appena 18 anni, ma una fedina penale degna di un criminale quarantenne (e infatti sul set diventa un trentanovenne).
Finisce così il sogno di John, un occhio a Sal sulla barella, un occhio a tutta quella gente che fino a poche ore prima lo acclamava, ora concentrata a consolare gli ostaggi. Quegli stessi ostaggi solidali ed empatici con i due rapinatori, non lo degnano nemmeno di uno sguardo. In realtà, per John non sono finiti i momenti di gloria, quando la sua storia di ordinaria disperazione viene impressa sulla pellicola. Nel 1973 John fu condannato a 20 anni di prigione e durante una delle giornate dietro le sbarre, una domenica pomeriggio del maggio 1975, a John e ai suoi compagni di cella fu permesso di vedere una proiezione del film.
Rivedere sul grande schermo le 14 ore che hanno segnato per sempre la sua vita, ripensare all’adrenalina delle trattative, pensare a che cosa avrebbe potuto fare di diverso. John prende carta e penna e scrive al New York Times, per una personalissima recensione del film, con sperticati elogi ad Al Pacino e diverse critiche su alcune scene “non fedeli”, ad esempio il colloquio con la madre. Il NYT non pubblicherà mai la lettera, giudicandola “inadeguata”, ma questa verrà ripresa e diffusa da Gay Sunshine: A Journal of Gay Liberation nel 1976.