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Cinque amici hanno programmato un weekend in una ennesima casa immersa nel bosco (nè questa, nè questa, nè tantomeno quest’altra): presto il senso di isolamento diventerà molto concreto…
In breve. Un excursus horror vagamente “fumettistico” e spudoratamente citazionista, di natura settanta/ottantiana nell’impianto: diverte ed intrattiene al quadrato se si colgono le innumerevoli citazioni, altrimenti è “solo” un horror bizzarro, fuori dalle righe e con un finale delirante (con una clamorosa citazione non tributata). Certamente da visionare.
Versione ignorante della recensione: cinque tardo-adolescenti (leggasi trentenni con pulsioni ormonali da sedicenni) decidono di passare il weekend in una capanna isolata nel bosco, e questo perchè erano troppo benestanti e si annoiavano. Uff. Presto entreranno in un circo dell’orrore e dell’assurdo degno di quello di Tobe Hooper e frammisto ad assurdita fisico-geometriche degne di Natali. Anche i caratteri dei personaggi sono volutamente preimpostati: il freak-fattone, la tizia carina ma misurata, la tizia carina ma sbroccata, il protagonista con il mondo in mano e naturalmente il ragazzo razionale che sa prendere la “decisione giusta”. Isolati dal mondo esterno ed immersi in un mondo che non comprendono (il che si presta a letture colte, ma anche no!), saranno destinati a morire (forse) in modo doloroso e gratuito. Vasto assortimento di mostruosità per tutti i palati: venghino siori, venghino!
Versione ordinaria. Diretto dalla sceneggiatore di Cloverfield (al suo esordio registico), “Quella casa nel bosco” evoca a partire dal titolo il feeling delle pellicole exploitation/horror del passato (La casa, La casa 2, Quella villa accanto al cimitero) strizzando l’occhio a quelle più splatter di ultima generazione (ad esempio La casa dei mille corpi, per quanto – a livello strutturale – anche il meno noto ed onirico The Shock Labyrinth). Del resto trovare i collegamenti di un film così diventa un autentico divertimento per qualsiasi recensore: si citano a man bassa – oltre alle efferatezze di Hooper ed allo scantinato con un libro misterioso di Raimi – anche i cenobiti (!) ed il “box” di Hellraiser, una generazione e mezza di monster movie, il clown di Stephen King (IT), i morti viventi di ogni ordine e grado (anche acquatici), la claustrofobia di Cube. Senza dimenticare le bambine inquietanti (e vabbè) ed i tremendi unicorni assassini (sic). Ce n’è abbastanza per esaltare i più appassionati o i neofiti del genere, ed altrettanto per il classico “sollevamento di sopracciglia” da parte degli spettatori più navigati: del resto l’intento di “Cabin in the woods” sembra essere stato quello di rappresentare l’orrore del pubblico stesso nel raffrontarsi con i propri anti-eroi e mostri preferiti, ma quello che trasuda superficialmente finisce per essere sopravvalutato. Il film è ben assemblato, questo va riconosciuto – per quanto l’idea di stilizzare in modo hoolywoodiano un sostanziale b-movie sia vagamente fastidiosa – e l’idea di fondo non è affatto male – evoca in parte le drammatiche conclusioni de “La morte avrà i suoi occhi“, scansandone completamente l’apparato serioso e limitandosi a rappresentarne quello più divertente/spettacolare. Tuttavia le orde di zombi che escono fuori un po’ a casaccio, unite ad un assortimento di sorprese e morti inattese, per quanto ricalchino la struttura “cattiva” dei migliori horror del passato, risultano alla fine dei conti un esperimento che potrà piacere solo ad una parte di pubblico: le conclusioni finali, con la citazione esplicita dei Grandi Antichi che governano il mondo- e senza degnarsi di nominare Lovecraft, una cosa ai limiti del vergognoso – possiede a mio avviso un che di insipido, che farà bollare la pellicola come una evitabile cazzata da chi non ha mai letto (a torto) lo scrittore di Providence in vita sua. Del resto l’autoparodia delle ragazze discinte e focose pronte ad essere massacrate, l’audace bagno nel laghetto – vedi Crystal Lake, la cantina dell’orrore (etteparèva), la lettura della formula in latino capace di provocare guai (si veda Zombi 4 di Claudio Fragasso), la citazione artificiosa di Ringu e – udite, udite – l’idea stessa di barricarsi in casa salvo cambiare idea (La notte dei morti viventi) rischia di creare un cocktail senza gusto, micidiale per la salute mentale dello spettatore, perso in almeno una decina di citazioni che servono poco (o nulla) alla trama stessa. Alla fine dei conti la pellicola è godibile nel suo insieme, ma nonostante questo – e senza voler sembrare nostalgici passatisti – finiremo per rimpiangere con nostalgia i tempi in cui l’horror sapeva essere meta-cinema senza ostentare nulla.