Mi è stata regalata l'autobiografia di Carlo Verdone, La casa sopra i portici. Oggi vanno molto di moda le autobiografie, spesso ci sono ghost writer che le scrivono per conto terzi solo a vantaggio di lucro (per l'interessato) quando si è in promozione con un film o con un disco.Ed invece l'autobiografia di Verdone sembra sincera, anche perché è una di quelle storie che si aggrappano a un pretesto per raccontare una vita: in questo caso parliamo di un trasloco.Io ne ho subito uno. E per noi gente sensibile, sentimentale, il trasloco non è cosa bella. E' un pezzo di vita che se ne va via insieme alla casa, soprattutto se parliamo della prima casa, quella dell'infanzia, dell'adolescenza. I corridoi della prima casa sono un po' le nostre vene entro le quali scorre il sangue che trascina come un fiume persone, esperienze, amori, divertimenti, terrori, stupori. Il trasloco è una separazione e come tutte le separazioni è l'occasione per fare un bilancio di vita. Ed è questo l'incipit da cui parte Verdone per dilungarsi nella sua biografia.Una biografia non cronologica, ma tematica e geografica, che segue episodi e luoghi legati a questo appartamento ottocentesco romano situato a Lungotevere dei Vallati al civico 2, la vecchia casa dei Verdone ora defunti (il professor Mario, storico del cinema e sua moglie Rossana) che Carlo ha dovuto recentemente abbandonare. Andando avanti nella pagine ci si addentra in primo luogo in una romanità "caciarona", ma alto-borghese, e non ultimo, nell' Italia degli anni 60 e 70, con esempi legati alle peculiarità della società di quel periodo: le cameriere (allora si chiamavano "donne di servizio"), le ragazze straniere che cadevano ai piedi dei romani, la musica "underground", i teatri liberi, le lambrette, alcuni personaggi molto popolani.La vita di Carlo rappresenta quella società opulenta e un po' edonistica di una Roma in stile "dolce vita", una vita al "borotalco" (per trovare altre metafore strettamente in tema) e parecchio invidiabile. E la famiglia Verdone era una famiglia benestante ma laboriosa, molto legata ai vincoli familiari e alle tradizioni, che frequentava intellettuali del mondo della letteratura e del cinema (Pasolini, De Sica, Fellini, Sordi). Inevitabile che Carlo si sia poi consacrato al cinema, lui che lo aveva respirato fin da quando era in fasce. Ma insieme a curiosità legate ai mostri sacri della storia del cinema che gravitavano in casa Verdone, c'è anche molto spirito goliardico negli aneddoti che vengono presentati, perché l'autore ne parla utilizzando un linguaggio spicciolo e di facile impatto, simile a quello che mette in bocca ai personaggi di finzione dei suoi film. Il lettore comprenderà, dunque, le fonti di ispirazione e il perché di certe scene che sono comparse nella filmografia verdoniana, poiché in ogni forma d'arte c'è sempre un po' di autobiografia, inutile negarlo. A dirla tutta, vi sono un paio di capitoli che paiono proprio usciti da una sceneggiatura e sono però fatti realmente accaduti!!! Questi due capitoli valgono bene da soli la spesa del libro, fidatevi.E naturalmente, come succede nei film, non possono mancare nemmeno in La casa sopra i portici, momenti amari, di cupa malinconia, soprattutto quando si parla della perdita dei genitori e della casa vuota, dopo il trasloco. L'ultima visita, le ultime foto. La fatica a trattenere le lacrime: il ricordo dei tramonti romani, visti dal terrazzo dell'attico, il vociare dei cortili, il giradischi che diffondeva musica alta, le grandi scale, la vecchia ascensore. Ma la vecchia casa di fine Ottocento di Lungotevere dei Vallati rimarrà per sempre ed è diventata famosa, ormai. La si può vedere anche in alcuni interni dei film di Verdone, come Un sacco bello o Acqua e sapone.
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Mi è stata regalata l'autobiografia di Carlo Verdone, La casa sopra i portici. Oggi vanno molto di moda le autobiografie, spesso ci sono ghost writer che le scrivono per conto terzi solo a vantaggio di lucro (per l'interessato) quando si è in promozione con un film o con un disco.Ed invece l'autobiografia di Verdone sembra sincera, anche perché è una di quelle storie che si aggrappano a un pretesto per raccontare una vita: in questo caso parliamo di un trasloco.Io ne ho subito uno. E per noi gente sensibile, sentimentale, il trasloco non è cosa bella. E' un pezzo di vita che se ne va via insieme alla casa, soprattutto se parliamo della prima casa, quella dell'infanzia, dell'adolescenza. I corridoi della prima casa sono un po' le nostre vene entro le quali scorre il sangue che trascina come un fiume persone, esperienze, amori, divertimenti, terrori, stupori. Il trasloco è una separazione e come tutte le separazioni è l'occasione per fare un bilancio di vita. Ed è questo l'incipit da cui parte Verdone per dilungarsi nella sua biografia.Una biografia non cronologica, ma tematica e geografica, che segue episodi e luoghi legati a questo appartamento ottocentesco romano situato a Lungotevere dei Vallati al civico 2, la vecchia casa dei Verdone ora defunti (il professor Mario, storico del cinema e sua moglie Rossana) che Carlo ha dovuto recentemente abbandonare. Andando avanti nella pagine ci si addentra in primo luogo in una romanità "caciarona", ma alto-borghese, e non ultimo, nell' Italia degli anni 60 e 70, con esempi legati alle peculiarità della società di quel periodo: le cameriere (allora si chiamavano "donne di servizio"), le ragazze straniere che cadevano ai piedi dei romani, la musica "underground", i teatri liberi, le lambrette, alcuni personaggi molto popolani.La vita di Carlo rappresenta quella società opulenta e un po' edonistica di una Roma in stile "dolce vita", una vita al "borotalco" (per trovare altre metafore strettamente in tema) e parecchio invidiabile. E la famiglia Verdone era una famiglia benestante ma laboriosa, molto legata ai vincoli familiari e alle tradizioni, che frequentava intellettuali del mondo della letteratura e del cinema (Pasolini, De Sica, Fellini, Sordi). Inevitabile che Carlo si sia poi consacrato al cinema, lui che lo aveva respirato fin da quando era in fasce. Ma insieme a curiosità legate ai mostri sacri della storia del cinema che gravitavano in casa Verdone, c'è anche molto spirito goliardico negli aneddoti che vengono presentati, perché l'autore ne parla utilizzando un linguaggio spicciolo e di facile impatto, simile a quello che mette in bocca ai personaggi di finzione dei suoi film. Il lettore comprenderà, dunque, le fonti di ispirazione e il perché di certe scene che sono comparse nella filmografia verdoniana, poiché in ogni forma d'arte c'è sempre un po' di autobiografia, inutile negarlo. A dirla tutta, vi sono un paio di capitoli che paiono proprio usciti da una sceneggiatura e sono però fatti realmente accaduti!!! Questi due capitoli valgono bene da soli la spesa del libro, fidatevi.E naturalmente, come succede nei film, non possono mancare nemmeno in La casa sopra i portici, momenti amari, di cupa malinconia, soprattutto quando si parla della perdita dei genitori e della casa vuota, dopo il trasloco. L'ultima visita, le ultime foto. La fatica a trattenere le lacrime: il ricordo dei tramonti romani, visti dal terrazzo dell'attico, il vociare dei cortili, il giradischi che diffondeva musica alta, le grandi scale, la vecchia ascensore. Ma la vecchia casa di fine Ottocento di Lungotevere dei Vallati rimarrà per sempre ed è diventata famosa, ormai. La si può vedere anche in alcuni interni dei film di Verdone, come Un sacco bello o Acqua e sapone.
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